Vittimismo, i consigli della psicologa
La differenza tra una persona vittima e una persona vittimista consta del fatto che la prima ha realmente subito un danno a suo carico per colpa di un terzo, la seconda invece si considera e si dichiara vittima senza che vi sia stato un reale accadimento a suo danno.
Più precisamente, il vissuto intrapsichico di sopraffazione, ingiustizia, danneggiamento e talvolta anche di persecuzione, rende la persona che ne soffre convinta e sicura della propria condizione di vittima, pur non essendolo agli occhi altrui.
Come capire se una persona è vittimista?
Tutte le persone possono sperimentare momenti di autocommiserazione, ad esempio durante l'elaborazione di un lutto o una perdita, a seguito di delusioni relazionali o insuccessi professionali. Tuttavia, questi episodi sono temporanei, circoscritti nel tempo e di breve durata, a differenza dei sentimenti di perdita di speranza, pessimismo e disperazione che pervadono e tormentano la vita di chi soffre di vittimismo.
Come si comporta una persona che soffre di vittimismo?
La persona vittimista tende ad incolpare gli altri e a cercare rifugio nella compassione, sostegno e approvazione altrui costantemente. Questa attitudine è caratterizzata da una visione pessimistica della realtà, in cui il soggetto si compiace nel lamento ed è incapace di qualsiasi forma di autocritica. Si riscontra in questo una “forzatura” del piano di realtà.
L’esternalizzazione delle colpe su soggetti terzi permette (apparentemente) di deresponsabilizzarsi ma al contempo rende il soggetto ininfluente nei rapporti: tutto dipende (è causa) dalle azioni e pensieri altrui. Ciò porta ad amplificare vissuti di impotenza, passività ed inadeguatezza.
Questa condizione pervasiva influenza negativamente tutti gli aspetti della propria esistenza, rendendo difficile trovare gioia o soddisfazione nelle attività quotidiane. Poiché spesso la persona vittimista non riesce a conseguire i propri obiettivi di rivalsa e risarcimento, può esperire emozioni come la rabbia e il risentimento o persino può sviluppare desideri di vendetta verso l'ambiente circostante. Vivere con una mentalità vittimistica può essere estremamente debilitante, sia per chi ne soffre sia per le persone che gli vivono accanto.
Le relazioni interpersonali ne risentono gravemente, poiché il continuo lamento e l'incapacità di vedere oltre la propria sofferenza, possono allontanare amici e familiari. Inoltre, i continui sospetti e le accuse possono erodere la fiducia e creare tensioni persistenti. La persona può diventare estremamente riservata, evitare il contatto con gli altri e sviluppare comportamenti ossessivi nel tentativo di proteggersi da percepite minacce. Infatti, il soggetto che ne soffre tende a interpretare ogni evento negativo come una conferma del proprio stato di vittima, alimentando un circolo vizioso.
I tratti più comuni di una persona che soffre di vittimismo:
- - mancanza di assunzione di responsabilità dei propri problemi o insuccessi e infelicità;
- - contestazione e critica di qualsiasi soluzione proposta che a suo parere non funzionerà;
- - approccio agli eventi sulla base di un generale atteggiamento negativo e pessimistico;
- - sviluppo di sentimenti come rancore, rabbia e incapacità di perdono;
- - mancanza di fiducia nell’altro;
- - eccessiva critica nei confronti delle altre persone;
- - fatica a mantenere relazioni stabili;
- - mancanza di assertività e difficoltà nell’espressione dei propri bisogni.
Come comportarsi con una persona che fa la vittima?
Nelle relazioni sentimentali se uno dei partner soffre di un funzionamento vittimistico, ciò può generare considerevole turbamento emotivo ed affettivo. La persona con modalità vittimiste spesso cerca il sostegno del partner per poi rifiutare le soluzioni proposte o sabotarle dopo averle inizialmente accettate. In alcuni casi, può anche arrivare a criticare aspramente il partner per non essere stato in grado di fornire il supporto desiderato o addirittura per aver aggravato intenzionalmente la situazione. Sembra non esserci più spazio per l’altro e tutto diviene saturo delle proprie lamentele e insoddisfazione.
Questa modalità relazionale che coinvolge entrambi i partner, pur con ruoli diversi, si ripete ciclicamente in maniera frustrante. Le persone vittimiste manipolando la realtà assumono anche posizioni di dominanza nei confronti dell’altro facendo sì che il partner si assuma la responsabilità della loro vita. Esse filtrano ogni aspetto della loro esistenza attraverso una visione distorta e paranoica della realtà e delle persone che le circondano. Questo non solo mette a dura prova le relazioni, ma può anche limitare la crescita personale ed emotiva.
Per quanto tale comportamento possa influire sul funzionamento quotidiano del soggetto coinvolgendo i diversi ambiti di vita, il vittimismo non costituisce di per sé un disturbo psichico pur venendo spesso equivocato e frainteso con alcune forme di disturbi psichici. In particolare, di frequente una persona vittimista viene confusa come una persona “paranoica”. Tuttavia, il Disturbo di Personalità di tipo Paranoide (DSM-5: F60.0) costituisce un quadro psicopatologico diverso.
Vittimismo VS Paranoia
In generale si può così riassumere: la paranoia è uno stato psicologico caratterizzato da un'eccessiva e ingiustificata sfiducia, diffidenza e sospettosità verso gli altri. Le persone che soffrono di paranoia tendono a interpretare le azioni e le intenzioni altrui come minacciose o malevole, anche quando non ci sono prove concrete a supporto di tali sospetti. Questo disturbo può manifestarsi in vari gradi di intensità, dalla lieve diffidenza all'estrema convinzione di essere perseguitati o cospirati. La paranoia influisce significativamente sulla qualità della vita portando anche all'isolamento sociale.
La persona paranoide non si sente vittima ma si sente perseguitata, ovvero oppressa e minacciata dall’aggressività e cattiveria altrui. Il suo funzionamento, dunque, è diverso e mosso da altri bisogni: il soggetto che ne soffre non può inconsciamente accettare di avere dentro di sé sentimenti negativi/aggressivi che dunque ha bisogno di proiettare all’esterno. L’altra persona diventerà così il portatore originario di quell’aggressività.
Il fatto che l’altro ai suoi occhi si comporti in maniera aggressiva lo fa sentire perseguitato e dunque “autorizzato” a nutrire sentimenti negativi e di rabbia e dunque a rispondere con aggressività. Semplificando: «non sono io che ti odio, ma sei tu che odi me e mi vuoi male e quindi mi attacchi. Io, dunque, sono la vittima perseguitata e non posso fare altro che difendermi».
Diversamente, la persona vittimista assume per lo più un ruolo passivo compiacendosi di essere amato dall’altro in tale modo, persistendo in una (inconsciamente piacevole) litania lamentosa, incapace di autocritica. Si potrebbe riconoscere, in questo, aspetti di masochismo morale.
Si potrebbe dunque concludere che la persona che soffre di vittimismo non ha a che fare con spinte aggressive, come la persona con struttura di personalità paranoica, bensì il suo funzionamento riguarda la sfera del riconoscimento e accoglimento, un bisogno di tipo narcisistico.
Come aiutare una persona vittimista?
Il processo di diagnosi di disturbo paranoide è complesso e richiede un'accurata valutazione da parte di un professionista della salute mentale. Questo spesso include colloqui clinici, test psicologici e talvolta, il coinvolgimento di familiari e amici per comprendere meglio il comportamento e le preoccupazioni del paziente.
In queste condizioni il fai da te è quindi ovviamente da evitare, anche se capiamo che il soggetto paranoico ben difficilmente cercherà aiuto per sé; molto più spesso sono gli altri che si rivolgono al professionista per aiutarlo o perché loro stessi (causa sua) stanno male.
Anche il vittimista non si rivolge al professionista perché ritiene il proprio comportamento “ovvio” e “giustificato”. Egli, quindi, non percepisce come problematico e disfunzionale il suo modo di aspettarsi la comprensione dell’altro, che noi già sappiamo essere espressione di bisogni infantili non ascoltati o frustrati, incolpevolmente, da parte delle sue figure importanti nel corso dell’infanzia. Il vittimista sente i suoi bisogni come dei diritti lesi ma chissà nel passato, quali veri diritti sono stati lesi?
In tutti i casi, sia che ci sia una condizione di sofferenza personale, sia causata da altri, è sempre meglio chiedere una valutazione, anche un modesto consiglio sul cosa fare. Talvolta, anche questo semplice gesto (se si riesce a dirlo al vero soggetto interessato) può rappresentare l’inizio di un cambiamento, se non altro nel modo di vedersi e quindi magari di aprirsi alla propria consapevolezza.
Qualche volta l’incontro con il professionista può anche semplicemente far capire che si può star meglio e che non è “destino” il sopportare certi “pesi” o il vivere con certe aspettative tutta la vita. Come per tutto ciò che ha che fare con la sofferenza mentale, l’inizio della guarigione incomincia col riconoscere la propria responsabilità nello stare male e quindi nell’aprirsi alla speranza.
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Dr.ssa Berenice Merlini - Centro Clinico SPP Milano età adulta