Vendetta e psicologia: vendicarsi fa stare bene?
Molte persone sperimentano il desiderio, almeno una volta nella vita, di vendicarsi per un torto subito, per un’ingiustizia fatta nei loro confronti o solo per pareggiare i conti verso qualcuno che ha fatto loro del male. Non sempre però questo impulso, che forse è da considerare una parte del nostro essere, viene attuato. A volte resta solo un desiderio, e questo segna una profonda differenza tra chi pensa alla vendetta solo su un piano simbolico e chi invece decide di vendicarsi nella realtà.
In questo articolo cercheremo di dare spazio a diversi aspetti della vendetta: il suo risvolto psicologico, come agisce una persona vendicativa e come difendersi da essa, la vendetta in amore, quando la vendetta diventa ossessione, e non può mancare, una riflessione sulla strategia opposta alla vendetta: il perdono.
"Vendetta in psicologia"
Il sentimento della vendetta è legato a un danno subito, alla violenza, al maltrattamento, alla mancata cura ma può presentarsi anche quando qualcuno tradisce un’aspettativa o un “accordo” all’interno di una relazione che può essere sentimentale, amicale o anche solo lavorativa. Venir meno a questo implicito patto relazionale, a prescindere che sia stato fatto volontariamente o no, può segnare profondamente il senso di fiducia e generare un significativo dolore psichico caratterizzato da rabbia, rancore e desiderio di vendetta.
Il fine consapevole della vendetta è la punizione, nonché il successivo raggiungimento di un nuovo equilibrio psicologico tanto cercato. Quello che però di solito si “ignora” è il fine inconsapevole, per non dire inconscio, che si vuole raggiungere: la lamentela dei danni subiti non sono altro che il disperato tentativo di celare il vero danno sofferto dall’Io nei primi anni di vita. In questo senso, la vendetta è un meccanismo di difesa la cui funzione è quella di nascondere i traumi più profondi occorsi nell’infanzia (per es. l’obbligo di aderire ai valori genitoriali o la protezione dalla paura della separazione). Una persona occupata con le sue fantasie di vendetta riguardo quella persona ha la funzione, evidentemente, di restare psicologicamente aggrappati a essa.
Comportamento di una persona vendicativa
In tema di vendetta, non possiamo non soffermaci a riflettere su quale sia il comportamento di una persona vendicativa. Sicuramente una persona vendicativa mostrerà, in quella situazione, un comportamento poco empatico verso chi dirige il suo rancore e la sua vendetta: se l’altro merita di essere punito tramite una vendetta è perché probabilmente questa terza persona è vissuta come minacciosa e quindi diventa difficile empatizzare con la persona che ci ha ferito, intenzionalmente o no.
Una persona in cerca di vendetta per un torto subito, può comportarsi come una persona insicura, non riuscendo ad andare avanti nonostante il danno subito, orgogliosa, pensando che l’altro l’abbia ferito di proposito, e anche con una bassa consapevolezza delle proprie emozioni, mostrando fatica per esempio a sentire la (sana) rabbia verso il loro aggressore, che a un certo punto muta nel risentimento di vedere l’altro soffrire. Tutti hanno sentito nella propria vita un grande dolore e hanno desiderato che la persona che l'ha provocata possa soffrire ugualmente, ma non tutti agiscono e si vendicano.
Le persone con la tendenza a meditare vendetta solitamente sono persone rigide e poco tolleranti agli sbagli altrui: se l’altro sbaglia deve pagare! Difficilmente intravedono la possibilità che l’altro li abbia danneggiati perché sofferente o confuso; ciò che in queste persone risuona è il desiderio di vendetta, non tanto sull’altro ma sul loro dolore che deve essere in qualche modo rivendicato. In quest’ottica, c’è davvero poco spazio alla possibilità di dimenticare e perdonare la persona che causato quel dolore. Rimanere in quel sentimento di rancore e rabbia fa sì che la persona vendicativa resti legata al passato, rivivendo continuamente quel dolore.
Essere vendicativi in amore
La vendetta in amore spesso è associata al tradimento del partner o quando una storia finisce perché un partner lascia l’altro. È comprensibile in questi casi provare un profondo sentimento di rabbia e rancore, che a volte può sfociare nel desiderio di vendicarsi. Dopo un iniziale momento di dolore e sconforto il partner, tradito o lasciato, può desiderare che sia l’altro a soffrire. A quel punto qualunque strumento può essere utile per ferire la persona che ha causato quella sofferenza: ferirlo emotivamente con insulti o svalutazioni, o su un piano più concreto creargli problemi lavorativi, nelle relazioni amicali o cercare vendetta creando problemi nella nuova relazione nata dal tradimento.
Quello che appare certo è che dopo un’illusoria sensazione di benessere, nell’aver recato danno all’altro, la persona sperimenta un profondo sentimento di solitudine generato proprio dall’aver “inflitto” un dolore che però non ripara il dolore originario: quello di aver perso la persona che si amava.
"Dal meditare e desiderare all'ossessione della vendetta"
Possiamo ritenere che, meditare o desiderare di vendicarsi contro l’autore del danno, fisico o morale, sia un’emozione sana che può essere accolta psicologicamente. In alcuni casi, il solo pensiero può dar sollievo ed essere funzionale per un processo di “guarigione” dal danno subito.
Se il desiderio di vendicarsi può essere considerato un’emozione che fa parte dei nostri impulsi più basilari, l’ossessione di vendicarsi, invece, è un aspetto patologico da cui bisogna liberarsi. Per liberarsi dall’ossessione di vendetta sulla persona che ha arrecato il danno, si deve diventare consapevoli della sua natura, che, come già accennato prima, trova le sue origini probabilmente nell’infanzia. La psicoterapia a orientamento analitico diventa uno strumento di elezione nel comprendere ed elaborare il danno originario subito dall’Io, nonché nella conseguente costruzione dell’Io più evoluto che sia in grado di tollerare il senso di perdita e di delusione che è stato procurato dal danno subito.
Non riuscire a perdonare un torto subito
Il risentimento per un torto subito, come abbiamo visto prima, può ossessionare la mente di una persona e può durare molto a lungo, anche se il torto subito è avvenuto anni prima. È la diretta conseguenza di un torto subìto e a questo, purtroppo, non sempre segue il momento del perdono. Non riuscire a perdonare significa non riuscire a lasciar andare quella sofferenza che veste gli abiti della rabbia e del rancore. Un percorso terapeutico è uno strumento utile al fine di comprendere ed elaborare quella sofferenza. Perdonare senza serbare rancore e risentimento è possibile essenzialmente imparando a conoscere le proprie emozioni e andando al di là dell’esperienza vissuta.
Come difendersi da un vendicativo?
La persona vendicativa è in uno stato di forte malessere e quest’ultimo può apparire sotto varie forme: crudeltà, insensibilità, rigidità, inflessibilità, spietatezza, brutalità, violenza. È molto probabile che la persona che sperimenta questi intensi stati emotivi sia concentrata a far sì che il male ricevuto non resti impunito. La persona vendicativa può essere a tratti consapevole dell’irrazionalità e inadeguatezza dei suoi sentimenti e dei suoi scopi, ma tale consapevolezza viene rapidamente oscurata dalla intensità dell’emozione. Il senso di colpa e la preoccupazione per le conseguenze delle sue azioni sembrano negate.
Quello che appare evidente è che per difendersi da una persona vendicativa bisogna difendersi da questi meccanismi; ciò non equivale ad allontanare la persona, soprattutto se è una persona importante per la propria vita, ma aiutarla a comprendere la disfunzionalità di questi meccanismi e sentimenti, che sono distruttivi e angoscianti.
Vendicarsi fa stare bene?
Pensiamo un attimo a cosa succede dopo aver compiuto una vendetta: si prova un sentimento di soddisfazione e appagamento per aver fatto soffrire l’altro. Questa illusoria sensazione, si scontra con ciò che diversi studi in ambito psicologico dimostrano: chi sceglie di non vendicarsi prova maggior felicità e soddisfazione. Questa paradossale affermazione nasce dalla dimostrazione che le persone in grado di perdonare, invece di programmare vendetta, sono molto più consapevoli che le persone possono commettere degli errori e quindi sono anche più inclini a comprendere le emozioni altrui.
Vendicarsi non stimola emozioni positive nelle persone che vogliono attuarla: al contrario, stimola tutte quelle emozioni negative provate per il danno subito. Se la rabbia si nutre di rabbia, possiamo anche sostenere che la vendetta non risulta essere la “scelta” migliore perché continuerà ad alimentare emozioni di rancore e risentimento.
La miglior vendetta è il perdono
Perdonare può sembrare un processo difficile da realizzare per chi ha subito un torto soprattutto se il danno subito è grave o se la persona che l’ha arrecato è una persona cara e vicina. Se cerchiamo sul dizionario la parola perdonare, troveremo la seguente definizione: “Non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi possibile rivalsa e annullare in sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno” (Treccani web).
A livello psicologico, rinunciare al risentimento per il danno subito, può richiedere una lunga elaborazione dei propri vissuti emotivi, del rapporto con la persona che ha commesso il torto e l’entità del torto stesso. Però, spesso le persone che riescono a perdonare, riferiscono di sentirsi estremamente liberati da un macigno che si portano dietro: il dolore. Perdonare, è autenticamente terapeutico, se vissuto come una libera scelta, e non imposta da terzi. Perdonare non significa solo liberarsi da quel dolore che ci si porta dentro per il danno subito, ma, a volte, può indicare anche un riavvicinamento alla persona che ha commesso il danno.
Quello che forse apparirà ovvio, ma è essenziale è che il perdono sia un processo interiore che la persona raggiunge rispettando i suoi sentimenti (inizialmente di rabbia, rancore, dolore, ecc..) e i tempi che ciò richiede. Solo alla fine di questo processo si può arrivare alla consapevolezza che il perdono non è tanto la miglior vendetta, ma è il metodo più sano per liberarsi del proprio dolore.
D.ssa Valentina Carella - Centro Clinico SPP Milano età adulta
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