Dismorfofobia allo specchio
Cos’è la dismorfofobia? Caratteristiche del disturbo
Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo, comunemente conosciuto come dismorfofobia, è un disturbo psichico descritto all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V).
Esso è caratterizzato da un’eccessiva e persistente preoccupazione per uno o più supposti difetti fisici non presenti o giudicati dagli altri come trascurabili. L’eventuale effettiva presenza di anomalie corporee non giustifica il disagio avvertito dal soggetto.
Le persone affette da questa psicopatologia vedono un'immagine di sé non corrispondente alla realtà: una zona del proprio corpo è inaccettabile e spesso sbagliata e disgustosa. Alle volte può non trattarsi di una parte del corpo ma riguarda per esempio il proprio odore o alito. Inoltre, la fissazione può restare invariata e soffermarsi sempre sulla medesima zona oppure spostarsi su un’altra.
Quali conseguenze porta la dismorfofobia?
Il malessere vissuto e riferito è tale da impedire un adeguato funzionamento nei diversi ambiti di vita. La persona che soffre di dismorfofobia attua comportamenti ripetitivi (compulsioni) come guardarsi allo specchio, stuzzicarsi la cute o cercare continue rassicurazioni. Oppure attua azioni mentali (ossessioni) per esempio confrontando il proprio fisico a quello altrui, in maniera continuativa ed invalidante.
Guardarsi, guardare l’altro e controllare la parte corporea reputata sbagliata e orribile è allo stesso tempo rassicurante e angosciante; il senso di controllo è apparentemente tranquillizzante ma riconferma e amplifica il disagio. Proprio per questi aspetti il disturbo rientra nel grande ombrello diagnostico dei Disturbi Ossessivo Compulsivi.
È importante sottolineare che nella precedente versione del DSM (DSM-IV-TR) il dismorfismo corporeo rientrava nei Disturbi Somatoformi: ovvero quei disturbi che si basano sullo spostamento e conversione sul corpo di un disagio psichico non elaborato. Dunque, al centro c’è il corpo come catalizzatore di un disagio psichico.
Nei pazienti con dismorfofobia l’odio per il proprio corpo è un elemento nucleare primario. La preoccupazione per quelle parti reputate brutte è dominante e angosciante e dunque deve essere distinta dalle ansie più transitorie legate all’aspetto fisico che riguardano un po’ tutti.
Lo stato di disagio e vergogna che si acuisce prima e durante le interazioni sociali (talvolta basta il pensiero di un futuro incontro) può sollecitare vissuti di invidia e rabbia ma anche di intensa paura di essere scoperti. Alcune persone adottano camuffamenti della parte interessata cercando di mascherarla o nasconderla (abbigliamento, trucco) o ricorrono alla chirurgia estetica senza mai raggiungere un completo soddisfacimento.
Quando la sintomatologia è particolarmente acuta, il percepito difetto corporeo porta ad avvertire una “imperfezione” più ampia: si viene pervasi da un senso di insicurezza e incapacità che può indurre la persona a ridurre i contatti sociali e fallire nelle relazioni interpersonali. Sono frequenti i comportamenti di evitamento e le situazioni di autoisolamento.
Comorbidità psicopatologiche
La dismorfofobia è spesso accompagnata dai seguenti sintomi psico-emotivi:
- - Crisi di pianto
- - Disturbi del sonno
- - Attacchi di panico
- - Episodi di deflessione del tono dell’umore
- - Ansia sociale
- - Depressione
- - Agiti autolesivi
È stata osservata un’alta comorbidità con i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Occorre però precisarne la differenza: i DCA riguardano un’alterata percezione dell’intera immagine corporea e la fissazione riguarda il peso corporeo e il grasso; il Disturbo di Dismorfismo Corporeo riguarda più spesso una zona circoscritta del corpo e l’insoddisfazione non riguarda il peso.
Quando compare la dismorfofobia?
La dismorfofobia, disturbo dell’immagine corporea, può manifestarsi a qualsiasi età ma compare più spesso durante l’adolescenza (l’età media è stimata attorno ai 15-16 anni) e può avere un decorso cronico e critico se non viene tempestivamente riconosciuta e trattata da specialisti. Riguarda maggiormente le ragazze (rapporto 3:1) ma può colpire in maniera altrettanto severa anche i ragazzi.
Il fatto che l’esordio sia più frequente durante questa fascia di età è significativo. L’adolescenza, infatti, è quel periodo evolutivo della crescita in cui le trasformazioni che riguardano il corpo esplodono con maggior vigore, imprevedibilità e diversificazione. Durante l’adolescenza il corpo attraversa un significativo processo trasformativo, abbandonando le caratteristiche infantili e assumendo un nuovo aspetto e significato. La realtà costringe ad abbandonare l’illusoria “perfezione” tipica dell’immaginario infantile e occorre reinvestire narcisisticamente il nuovo corpo.
Tuttavia, i cambiamenti fisici imposti dalla crescita puberale e dalla maturazione sessuale posso generare timori e conflitti, portando ad una complessità nell’integrazione mente-corpo e causando dismorfofobie: ovvero una netta frattura tra come si è e come ci si vede. Il ragazzo ha bisogno di sperimentarsi e affermare la propria differenza rispetto ai genitori e similarità con i coetanei “manipolando” il proprio fisico.
Il corpo, come un involucro, diventa contenitore simbolico di tutti i processi e trasformazioni psicologiche in atto. Per esempio, la concretezza del corpo rende molto facile proiettare inconsciamente su di esso anche i fallimenti relazionali: «Non sono io che non vado bene ma è la mia cicatrice che mi rende orribile e se la eliminerò tutto potrà risolversi.»
Il corpo è reso portatore di significati altri. Come per le fobie, anche nel Disturbo Dismorfofobico, spostare e focalizzare su un qualcosa di circoscritto, rende i vissuti scatenanti apparentemente controllabili. In definitiva l’accettazione o il rifiuto non riguarda unicamente l’aspetto esteriore del fisico. Il corpo non è mai solamente “bello” o “brutto”.
Bello o brutto?
Bisogna specificare che i concetti di “bellezza” e “bruttezza” non sono determinati da proprietà intrinseche di un soggetto ma derivano dall’esperienza interiore emotivo-relazionale che l’altro fa e che proietta sul corpo dell’altro. Quindi sia la bellezza che la bruttezza hanno un significato ed un’origine sia intrapsichica (interna al soggetto) che relazionale (nella dinamica con l’altro).
Da dove origina la dismorfofobia?
Il controllare e ricontrollare ossessivamente la parte corporea, per la persona che ne soffre, è conferma della propria bruttezza e disconferma della speranza che questa «non fosse davvero così com’è ed è talmente insopportabile la vista che non posso essere io». L’immagine corporea esterna non corrisponde alla rappresentazione psichica interna. L’individuo si spezza! L’angoscia aumenta!
Il dramma che avviene davanti allo specchio per chi soffre di dismorfismo corporeo può verificarsi anche davanti a specchi immaginari: lo sguardo dell’altro, o meglio, quello che si immagina che gli altri vedano. Si evince che per queste persone lo sguardo dell’altro è sentito come giudicante ed ostile verso il proprio Sé.
Il primo sguardo con cui ci confrontiamo è quello materno e questo ci permette di comprendere la centralità dell’esperienza legata alle interazioni primarie madre-bambino. Qualora l’incontro avvenga con una madre non sufficientemente buona (nel senso winnicottiano del termine) il bambino non potrà fare esperienza di un Sé rispecchiato, contenuto e soprattutto amato e amabile.
La crescita, infatti, è caratterizzata da spinte evolutive sostenute anche da sentimenti di aggressività provate dal soggetto che solo se adeguatamente rispecchiati, contenuti ed elaborati (funzione della madre sufficientemente buona) vengono considerati tollerabili e dunque consentono il costituirsi di un Sé amato e amabile. Ne deriva un facile spostamento: «essere amato e amabile stante il mio aspetto». In questo senso la bellezza è sia intrapsichica che relazionale.
Come aiutare una persona che soffre di dismorfofobia?
Qualora vi sia il sospetto di soffrire di dismorfofobia, è opportuno rivolgersi tempestivamente ad uno specialista in psicoterapia. Infatti, è importante non ricorrere all’autodiagnosi né alla compilazione di questionari non verificati. Al momento non esistono test psicodiagnostici statisticamente validati e specifici sulla dismorfofobia. Tuttavia, lo specialista formato in psicodiagnostica, potrà servirsi di test standardizzati che indagano separatamente i diversi aspetti psicologici che caratterizzano il disturbo.
Inoltre, la dismorfofobia deve essere valutata dal clinico lungo uno spettro di gravità anche sulla base della consapevolezza, grado di insight, che il soggetto mostra circa la veridicità o meno delle sue convinzioni riguardo la parte corporea interessata (vere; probabilmente vere; probabilmente non vere; decisamente non vere). Laddove il disturbo è più grave e vi è un aumentato rischio di agiti autolesivi o crisi psicotiche, sarà eventualmente valutata la necessità dell’introduzione anche di altri tipi di aiuto.
In ogni caso l’avvio di un percorso di psicoterapia ad orientamento psicoanalitico, secondo il modello teorico seguito dal Centro Clinico SPP, offre uno spazio di ascolto, accoglimento e rielaborazione profonda del significato inconscio del sintomo. La relazione psicoanalitica offrirà la possibilità di fare esperienza di un nuovo sguardo su di sé ed integrare l’immagine corporea, ovvero risolvere quello scollamento tra corpo-reale e rappresentazione psichica.
Se desiderassi contattarmi per un primo colloquio, vai alla sezione Contatti e compila il form. Verrai ricontattata/o al più presto.
Dr.ssa Berenice Merlini - Centro Clinico SPP Milano età adulta