Invidia e psicologia: origini e manifestazioni
“Per l’invidioso nulla è più gradito dell’infelicità altrui e nulla è più molesto dell’altrui felicità”
B. Spinoza
L’invidia è un’emozione che si fa sentire più che mai in queste epoca di social network. Ha a che fare con l’immagine che si ha di se stessi, nel confronto con l’altro e si lega al senso di inferiorità, di inadeguatezza e di mancanza.
L'invidia, un'emozione difficile
È facile provare invidia per chi posta ritratti di coppia o di famiglia idilliaci, foto di viaggio in posti meravigliosi, o particolari di piatti da chef e solo a posteriori forse si può ridimensionare il sentimento, con la consapevolezza di quanto spesso quel che appare nei social sia lontano dalla realtà. L’invidia è comunque un sentimento profondamente radicato in noi, che, rispetto ad altri, non gode di comprensione e non suscita empatia; forse per questo spesso viene misconosciuta da chi la prova e scambiata per qualcos'altro.
A volte, per esempio, può essere confusa con la gelosia, dalla quale si differenzia perché deriva dall’apprensione che si prova di fronte alla superiorità degli altri e all’esame che facciamo a noi stessi: nell’invidia il conflitto è tutto privato e soggettivo. Chi prova gelosia teme di perdere una persona o una cosa che ama per l'intervento di un terzo: è un sentimento che ha a che fare con la possessività e presuppone una relazione, una connessione.
Contrariamente a quel che accade nella gelosia, invece, l’invidia non porta a entrare in relazione con l’altro, ma ad allontanarsene, chiudendosi in se stesso in un ripiegamento carico di sofferenza. L'invidia si basa sulla rivalità con l'altro, ed è così difficile ammetterla perché equivale a un'ammissione di inferiorità. Peraltro, l'invidioso, invece di impegnarsi per acquisire le competenze che gli servono per colmare la distanza che lo separa da chi gli suscita invidia, si limita a trovare uno stile di comportamento che gli permetta di aggirare il problema, ad esempio simulando le competenze che non ha, e rimane a crogiolarsi nell'invidia.
Ma non finisce qui: l'invidia non implica soltanto una mancata connessione con l'altro, ma anche il volere il male dell'altro. Lo dice l'etimologia stessa della parola, che viene dal latino in-videre, guardar male, cioè guardare augurando il male, “fare il malocchio”. Non a caso nel Purgatorio di Dante gli invidiosi non possono guardare i loro vicini perché hanno le palpebre cucite dal fil di ferro.
Non stupisce che l'invidia sia tanto difficile da riconoscere, da accettare e da esprimere e che quando si manifesta, lo faccia perlopiù in maniera paradossale, presentandosi sotto le spoglie del suo contrario, e cioè dell’ammirazione, espressa in maniera eccessiva, spesso in presenza di terzi che facciano da pubblico.
Le origini dell'invidia
Nel profondo, l'invidia è collegata all'incapacità di provare gratitudine e di essere felici. Melanie Klein vede l'invidia come affetto fondamentale e ne fa un concetto cardine della sua teoria psicoanalitica. Secondo la Klein l'invidia è legata al rapporto che la madre ha col bambino e si sviluppa nella prima fase della vita, quando si gettano le basi per lo sviluppo dell'Io, proprio nella prima relazione oggettuale, cioè nel rapporto con la mamma e con il suo seno, sorgente di nutrimento e vita.
Il seno materno però, non è soltanto il seno buono che nutre, ma anche il seno cattivo che si sottrae ai bisogni del bambino sprofondandolo nella frustrazione. Da questa ambivalenza si originano invidia, gelosia e avidità, sentimenti diversi, ma apparentati tra loro.
Chi prova invidia verso un oggetto primario non sufficientemente buono ha la sensazione di averlo danneggiato e sviluppa l'invidia e sensi di colpa, perdendo la fiducia di poter amare e di poter meritare amore; aumentano l'avidità e gli impulsi distruttivi e viene danneggiata la possibilità di essere felici, che ha a che fare proprio con la capacità di amare e col sentimento di gratitudine, essenziale, secondo la Klein, “per stabilire il rapporto con l'oggetto buono e per poter apprezzare la bontà degli altri e la propria”.
Quando viene interiorizzato un oggetto primario buono, invece, si può contare su una forza interiore che permette di vedere il mondo esterno come amichevole e di aprirsi ad esso con generosità. Anche in circostanze avverse, si riesce a mantenere un equilibrio e a riguadagnare la serenità dell'animo.
Causa di invidia può essere anche la consapevolezza che la persona invidiata è equilibrata e capace di amare, perché ha introiettato quell'oggetto buono che manca all'invidioso, che soffre di una mancanza che sembra senza rimedio.
Come guarire dall'invidia
Colpisce dell'invidia, il fatto che questa sembri senza rimedio: l'invidioso è sempre insoddisfatto e non trova pace, quale che sia il modo in cui questo sentimento si manifesta. All'invidia alcuni reagiscono idealizzando l'altro, ma all'idealizzazione segue una dolorosa svalutazione. In altri casi, si svaluta l'altro fin dall'inizio.
Chi è depresso, può reagire all'invidia anche svalutando se stesso, nel tentativo di gestire i sensi di colpa che gli deriverebbero da un'aggressività considerata inammissibile verso l'oggetto. In altri casi, si ricerca il successo per essere invidiati, ma questo non aiuta a stare meglio perché porta all'attivarsi di angosce persecutorie.
È possibile affrontare l'invidia e le problematiche che si legano ad essa in un percorso di psicoterapia: nella relazione con il terapeuta è possibile individuare sentimenti e dinamiche ricorrenti e arrivare progressivamente a un cambiamento profondo.
Dr.ssa Sara Pagani - Centro Clinico SPP MI età adulta
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