Comportamenti autodistruttivi: quali sono, cause e come affrontarli

Vengono definiti comportamenti autodistruttivi tutti quei comportamenti che una persona mette in atto con scopo di procurarsi un danno fisico o emotivo. Potremmo erroneamente pensare che all’interno di questa definizione rientrino solo le manifestazioni visibili di un danno, come procurarsi delle ferite; in realtà rientrano anche i comportamenti che non creano un danno immediato (un taglio sulla pelle) ma che nella loro costante ripetizione arrivano a generare lo stesso dolore come nei disturbi alimentari, nelle tossicodipendenze, o nei comportamenti di autosabotaggio (nelle relazioni, nel lavoro, ecc…).

In questo articolo andremo ad analizzare nel dettaglio cosa vuol dire autodistruzione, quali sono i comportamenti tipici e le motivazioni che possono spingere una persona ad autodistruggersi.

Che cosa vuol dire autodistruzione?

Analizzando la parola composta da “auto” e “distruzione”, cogliamo che dietro questo comportamento si nasconde il desiderio di distruzione di sè stesso. Una personalità masochistica, che prova del piacere nel provare dolore, trova nella sua distruzione una spiegazione al suo dolore, a volte fisico, ma molto più spesso emotivo e psicologico.

Ma perché una persona dovrebbe sentire il desiderio di autodistruzione, della morte? Per spiegare bene questo concetto, utilizzeremo la teorizzazione di Freud, il quale nel 1920, nel libro “Al di là del principio di piacere”, identifica nell’uomo due pulsioni: di vita e di morte. Se da un lato l’essere umano aspira continuamente e incessantemente alla soddisfazione di un bisogno o desiderio (“pulsione di vita”), dall’altro bensì vi è un altro moto inconscio che, a differenza del primo, anela distruzione e ripetizione di schemi che possono portare a conseguenze sfavorevoli per la persona (“pulsione di morte”).

Freud spiega in maniera molto dettagliata la tendenza dell’uomo a condurre la propria vita nella direzione della morte, della sua distruzione, dell’annientarsi da solo. Anche se il principio del piacere inneggia il senso della vita, come modo per procurarsi piacere e non provare dolore, l’uomo desidera più ardentemente il piacere al di là del bene; quindi, se ciò che egli desidera non si sovrappone con il bene – ma con il male – allora cercherà il male, la distruzione.

Le personalità masochistiche sono spesso tormentate da un potente senso di colpa, molto irrazionale e totalmente inconscio. Tale vissuto si genera da desideri che la persona considera inaccettabili, e per i quali pensa, inconsapevolmente, di meritare punizioni: i comportamenti autodistruttivi sono le punizioni che la persona si infligge da solo, molto spesso agendo anche in anticipo alla sensazione di colpa.

L’inconsapevolezza di tale meccanismo rende ancora più facile per la persona reiterare questo comportamento all’infinito. Se la persona con comportamenti autodistruttivi non riesce ad arrivare a una definitiva riparazione della propria colpa originale, si sentirà in dovere di continuare a reiterare le proprie condotte autodistruttive.

Le personalità masochistiche vivono la profonda convinzione di essere destinati ad essere sempre maltrattati e mai apprezzati; le persone che stanno a loro vicini sono spesso particolarmente infastiditi rispetto al fatto che li percepiscono come disinteressati a cambiare il loro destino, e sempre inclini ad autocommiserarsi. Il comportamento autodistruttivo, peraltro, è sovente volto a richiamare l’attenzione degli altri per coinvolgerli nel processo masochistico: far scaturire sentimenti irritanti sembra sia la modalità prediletta che il masochista conosce per mantenere in vita la relazione con l’altro, nel costante timore di un possibile abbandono.

Quali sono i comportamenti autodistruttivi?

I comportamenti autodistruttivi possono variare molto tra di loro: hanno a che fare con il procurarsi un dolore fisico, o mettersi in una situazione di pericolo o di sofferenza emotiva. Spesso le persone con questa tendenza sono persone inclini a cercare o rimanere in situazioni di conflitto verbale o anche fisico per sentire che possono controllare ciò che hanno davanti a sé, come ad esempio una relazione. Dobbiamo precisare però che ciò successivamente genera colpa nella persona autodistruttiva, che si pente ma reitera la stessa modalità.

Questa reiterazione rende ovviamente le relazioni molto instabili: boicottare una relazione sentimentale o un’amicizia è tipico delle persone autodistruttive, in quanto sperimentano la costante paura di non essere amate o degne di attenzione.

Un’altra sfaccettatura della persona autodistruttiva è, invece, quella di sacrificarsi sempre per l’altro: la sensazione interna di essere colpevole di “qualcosa” (spesso non riesce ad essere definita ma resta una sensazione), rende queste persone propense a dimenticare ciò che vogliono e a soddisfare sempre l’altra persona, così da potersi sentire sollevati. In altri casi invece, la persona autodistruttiva non riesce neanche a proteggersi, per esempio da contesti abusanti, in quanto ritiene inconsciamente di meritarsi quella sofferenza.

In generale le persone autodistruttive non riescono a riconoscere quando sono felici, o fanno di tutto per sabotare le situazioni in cui potrebbero essere tali (es. saltare un colloquio di lavoro che tanto desiderano fare) perché provano un costante senso di insoddisfazione e disagio che hanno bisogno di far defluire nei meccanismi interni ed esterni di autodistruzione.

Perché una persona si autodistrugge?

La prima sensazione positiva che la persona sperimenta dopo aver avuto un comportamento autodistruttivo è il sollievo. Questo sollievo è così tanto intenso e così tanto breve come l’effetto di una droga: genera una sensazione fisica ed emotiva molto positiva che svanisce nel giro di poche ore e che lascia, fino all’assunzione successiva, un profondo senso di malessere e sofferenza che per non poter più sentire deve essere coperta con una nuova dose di droga. E il circolo vizioso riparte.

Questo può succedere anche nei comportamenti autodistruttivi. Le dinamiche psicologiche sottostanti ai comportamenti autodistruttivi sono complesse e spesso radicate in emozioni profonde e conflitti intrapsichici. Le persone autodistruttive tendono a rivolgere l'ira verso sè stesse piuttosto che manifestarla, il che si traduce in comportamenti che possono danneggiare la loro stessa persona e le relazioni che hanno con gli altri.

La tendenza di questi comportamenti è di vedersi costantemente incapaci e incompetenti, rinforzando la visione che hanno di sé fallimentare e costellata di limiti, amplificando insicurezze e vuoti per mostrare al mondo e a sé stesso l'apparente inutilità dei propri sforzi. Questo comportamento lascia le persone intrappolate in una zona di comfort dalla quale non desiderano uscire, alimentando un ciclo continuo di autodistruzione.

Altri comportamenti includono il rifiuto di ricevere aiuto, relazioni caratterizzate da aggressività e/o vittimismo, l'abuso di sostanze, comportamenti impulsivi e pericolosi. In questo scenario il proprio dolore viene proiettato sulle altre persone, rendendo difficile il mantenimento di legami stabili e basati sulla fiducia. La gestione emotiva frammentata e caotica, inoltre, contribuisce a un universo interiore dominato da emozioni negative che spesso esplodono in scoppi di rabbia e violenza.

Infine, l'autosabotaggio può essere una manifestazione di difficoltà profondamente legata all'infanzia, come il giudizio ricevuto da figure genitoriali che lascia dentro una errata convinzione di inadeguatezza, una delle emozioni alla base dell’autodistruzione.

Riconoscere di avere questi comportamenti autodistruttivi è un passo importante, che può essere supportato e accolto da uno psicoterapeuta che può aiutare la persona a prendere consapevolezza del proprio senso di colpa inconscio e a lasciarlo andare per far spazio a meccanismi sani e funzionali.

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Dr.ssa Valentina Carella - Centro Clinico SPP Milano dell'età adulta