L’uso del lettino in psicoterapia tra immaginario e pratica

Il lettino tra pratica e immaginario

Il lettino è uno strumento tra i più riconoscibili nell’immaginario connesso alla psicoterapia e alla psicoanalisi. Si tratta di un elemento peculiare della psicoanalisi e facente parte del setting ovvero di quell’insieme di strumenti e regole finalizzate a promuovere un processo terapeutico.

Spesso associato all’immagine del paziente disteso mentre parla e al terapeuta che ascolta in silenzio, il lettino è un elemento ancora oggi utilizzato e dibattuto: se da una parte è diventato simbolo di introspezione e di una esplorazione profonda della mente, dall’altra ha subito diverse critiche per una maggiore attenzione alla relazione di rispecchiamento tra terapeuta e paziente. Il suo utilizzo rimane legato ad una attenta valutazione in base alle caratteristiche del paziente e del tipo di percorso terapeutico che si vuole intraprendere.

Storia e origini dell’uso del lettino

L’uso del lettino risale agli albori della psicoanalisi e ai primi tentativi di definire lo spazio e le regole della pratica analitica da parte di Sigmund Freud. In un primo momento Freud si era affidato all’ipnosi per accedere ad aree inconsce dell’esperienza. Si accorse tuttavia che questo procedimento non permetteva un coinvolgimento attivo del paziente ed i suoi risultati apparivano poco duraturi e profondi. L’uso del lettino al contrario permetteva di entrare in una dimensione diversa dal confronto razionale e quotidiano pur senza doversi porre nella posizione passiva dell’ipnosi.

Freud trova nell’uso del lettino e nel posizionamento del terapeuta fuori dal campo visivo del paziente uno spazio più agevole per entrambi i partecipanti dato dalla possibilità di mettersi in una posizione di dialogo libera dal controllo dello sguardo.

Tale posizione darebbe la possibilità al paziente di rivolgere la propria attenzione al proprio interno, alle fantasie, ai pensieri, alle immagini, ai ricordi che spontaneamente emergono nel corso della seduta essendo meno occupato dallo scambio vis-à-vis e dalla presenza fisica del terapeuta e delle sue espressioni facciali.

Questo stato di abbandono ed il racconto delle fantasie e immagini che suscita nella mente del paziente è un concetto cardine della psicoanalisi chiamata la tecnica delle associazioni libere. Fuori dal controllo razionale e interattivo del discorso tra due persone, il paziente insieme al terapeuta può osservare i collegamenti che si creano nella propria mente e dedurre aspetti inconsci altrimenti invisibili.

L’uso del lettino è stata quindi una elaborazione del padre della psicoanalisi volta a promuovere tale processo al fine di contattare aree più profonde e inconsce dello scambio tra paziente e analista.

Significato psicologico e simbolico del lettino

Come può un semplice cambiamento nella posizione fisica e corporea tra paziente e terapeuta facilitare tutto questo? Nella pratica clinica spesso tale domanda sorge spontanea nell’incontro con l’oggetto-lettino. La persona che entra nella stanza può essere incuriosita, può conoscerlo per la sua presenza nell’immaginario culturale e proprio per questo motivo spesso l’uso del lettino può essere investito di aspettative magiche, di angosce persecutorie o al contrario deliberatamente svalutato e ignorato.

Tutti questi elementi possono essere approfonditi e utilizzati da paziente e terapeuta come informazioni rilevanti sul mondo interno del paziente: come ogni singola persona valuta la possibilità di sdraiarsi in presenza di un’altra persona fuori dal suo campo visivo? Evidentemente questa è una posizione che suscita emozioni e fantasie molto articolate e diverse.

Il passaggio al lettino prevede che l’interazione non sia più un confronto in cui le due persone sono una di fronte all’altra ma dove entrambe sono rivolte all’osservazione del mondo interno: il paziente può rivolgere lo sguardo interiore verso i propri pensieri e contemporaneamente il terapeuta potrà oscillare tra l’accompagnare il paziente in questa esplorazione e l’osservare le proprie reazioni a quello che si incontra in questo viaggio interiore.

Lo sguardo

Da una parte il paziente è libero di vivere questa esplorazione senza il condizionamento continuo dello scambio faccia a faccia, dall’altra e in modo speculare il terapeuta potrà oscillare tra i vissuti del paziente ed i propri in modo da cogliere aspetti inconsci da poter elaborare nel dialogo condiviso. Viene in questo modo creato uno spazio più libero e rispettoso dei vissuti di ognuno dei partecipanti: entrambi sono liberi di vivere le proprie emozioni e reazioni alla presenza dell’altro ma senza che questa presenza sia invasiva attraverso l’esposizione allo sguardo.

L’uso del lettino permette quindi di oscillare tra l’esplorazione interna e la condivisione attraverso la parola in uno stato di sospensione delle normali regole di interazione che vigono nella quotidianità. La persona che si stende sul lettino può abbandonarsi al silenzio, può saltare da un pensiero all’altro, può prendersi lo spazio per vivere delle emozioni che sarebbero altrimenti inibite dall’esposizione continua allo sguardo dell’altro.

Il silenzio

L’uso del lettino permette inoltre di alleviare la necessità di riempire il vuoto che si crea tra due persone che si guardano in silenzio. L’interazione frontale rende molto più difficile poter accedere ad uno sguardo interno e molto presente invece l’urgenza e la necessità di tenere conto delle aspettative e delle reazioni dell’altro.

Tale aspetto vale per entrambi gli attori alla seduta di psicoterapia: sia il paziente che il terapeuta potranno quindi sentirsi portati a riempire gli spazi vuoti per sfuggire a possibili condizioni di imbarazzo e disagio e perdendo quindi la possibilità di mantenere l’attenzione sulle fantasie e sui pensieri interni.

La possibilità del silenzio condiviso sarebbe quindi una ulteriore facilitazione data dall’uso del lettino. La possibilità di tollerare il silenzio lascerebbe e stimolerebbe l’emergere di pensieri e stati emotivi profondi e maggiormente autentici. In questo aspetto si vede come il lettino sarebbe quindi una evoluzione della tecnica ipnotica che evita tuttavia la passivizzazione della persona ed il rischio di intrusività del terapeuta. Il silenzio può essere vissuto insieme e può costituire l’habitat necessario per l’emergere di pensieri, fantasie, emozioni che solitamente non possono manifestarsi.

Il corpo

Bertha Pappenheim, conosciuta negli “Studi sull’isteria” di Freud sotto lo pseudonimo di Anna O. ed una delle prime pazienti a sperimentare quella che sarebbe poi diventata la tecnica di cura psicoanalitica, la definì talking cure ovvero cura della parola. Seguendo questa suggestione ci si potrebbe chiedere: quando la parola diventa veicolo di cura?

Nel caso di Anna O. la parola diventa veicolo di cura perché permette di esprimere fantasie ed emozioni che solo grazie alla particolare relazione con il terapeuta è possibile esprimere verbalmente. La parola, tuttavia, può essere anche usata per nascondere, confondere, aggredire: sarebbe quindi solo un mezzo il cui fine è tutto da stabilire.

La cura psicoanalitica ha tuttavia come obiettivo il poter connettere degli stati emotivi, e quindi legati alle sensazioni corporee, al pensiero cosciente, alla possibilità di simbolizzare e quindi alla parola.

L’uso del lettino faciliterebbe la possibilità per il paziente di connettersi alle proprie sensazioni corporee, al proprio stato emotivo e, seduta dopo seduta, provare a fare di questi dati grezzi, di queste percezioni, qualcosa da tradurre in immagini, racconti, ricordi. Promuoverebbe quindi la possibilità di elaborazione di stati inconsci, quindi depositati nel proprio corpo, in pensiero verbale e simbolico.

Il lettino favorirebbe questo passaggio proprio grazie alla possibilità di ascolto del proprio corpo: si è distesi, è possibile abbandonare le tensioni ed inoltre non si è impegnati in una relazione diretta con il corpo del terapeuta. In tale condizione allora il corpo potrebbe prendere la parola o viceversa: si apre un canale di comunicazione tra stati fisici e stati mentali.

Vantaggi e limiti dell’uso del lettino

Le caratteristiche dell’uso del lettino appena descritte, e che garantirebbero in alcuni casi un’apertura del processo analitico a stati inconsci e alla possibilità di mettere in parola elementi di sé finora sconosciuti, sono gli stessi punti che, in altri casi, potrebbero portare a grandi difficoltà e ad impasse del processo terapeutico.

Per poter usare il lettino è necessario che sia tollerabile per la persona una posizione che mette in contatto diretto con il proprio mondo interno. In alcuni casi un approccio non mediato dallo sguardo e dalla presenza fisica del terapeuta con quello che si ha dentro potrebbe essere qualcosa che inibisce e spaventa piuttosto che qualcosa che libera e facilita lo scambio.

Il lettino mette sicuramente a confronto con temi come l’intimità, la fiducia, la dipendenza, l’abbandono nei confronti del terapeuta ed è necessario che vengano tenute in considerazione particolari difficoltà che la persona può vivere in queste aree. Se vi sono ad esempio gravi traumi relazionali o aspetti persecutori e paranoici, la possibilità di stare distesi, di abbandonarsi in presenza di un altro del quale non si controllano le intenzioni, le espressioni e i movimenti può risultare qualcosa di angosciante e inibente.

Se è vero che per tutti il lettino può suscitare inizialmente od occasionalmente tali timori, i quali sono fonte utilissima di informazioni per il lavoro terapeutico, in alcuni casi è necessario un lavoro faccia a faccia che possa prima prendere in considerazione la necessità di uno sguardo che tranquillizzi, controlli e contenga tali angosce.

Inoltre, la posizione faccia a faccia può essere indicata in alcune fasi della terapia nelle quali lo sguardo e l’interazione diretta assumono un significato terapeutico e di rispecchiamento necessario.

Se per la tecnica psicoanalitica quindi il lettino rimane uno strumento importante tra quelli a disposizione, il suo uso deve essere tuttavia sempre oggetto di discussione con il paziente per costruire un percorso che sia condiviso, rispettoso e autentico nel prendersi cura del mondo interno della persona.

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Dr. Niccolò Lavelli - Centro Clinico SPP Milano dell'età adulta