Ludopatia e psicoterapia, come affrontare la dipendenza dal gioco d'azzardo

Una prima mossa per affrontare il tema della ludopatia può essere il racconto di una breve esperienza, la frase di un assistito, un uomo che fugge in sostanze di ogni tipo da un'esistenza ricca a livello materiale, ma vuota di affetti e di senso. Un giorno disse: "Gioco poco perché mi fa paura. Se dovessi trovare una somiglianza, il gioco dà la stessa botta e la stessa dipendenza della cocaina, è la droga cui assomiglia di più. Ti mettono addosso la stessa scimmia".

Questa frase mi ha colpito, perché con poche parole rende l'idea della gabbia angosciosa in cui il gioco d'azzardo chiude una persona e ne spiega la natura. Il paziente non associa la ludopatia a una corsa sulle montagne russe per l'adrenalina, a una battuta di safari per la rincorsa a un trofeo, o a qualsiasi altra esperienza forte.

La associa a una droga e parla di dipendenza, con tutte le caratteristiche tipiche di quell'esperienza, come il bisogno obbligato a ripetere la giocata-assunzione, ad aumentare costantemente la giocata-dose, a vivere con rabbia chiunque o qualunque cosa ostacoli la ripetizione, fino alla ricerca spasmodica di risorse per potersi permettere una nuova dose-giocata.

Tolti i fronzoli, tolti i suoni e le luci dei casinò o delle "macchinette", tolti i ricchi premi che vanno sempre al banco e mai al giocatore, ciò che rimane è una dipendenza. Come le droghe, come l'alcol, come il sesso, quando diventano compulsivi. C'è lo stesso fenomeno di fondo, che può declinarsi in vari modi, a seconda delle disposizioni personali, dell'ambiente che offre accesso più facile a questo o a quello, ai contesti per cui è meglio spegnersi o iperattivarsi, dimenticare o sperare.

Cosa si intende per ludopatia?

Di solito, quando cerco di capire un fenomeno mi rivolgo innanzitutto all'etimologia. Nella storia delle parole si nasconde il senso, prima ancora del significato. Il termine ludopatia è formato da un prefisso latino e un suffisso greco: da ludum, gioco, e da patheia, malattia, sofferenza.

Il termine mi appare come un ibrido culturale e come un ossimoro. Gli ibridi linguistici non sono rari, molte sono le parole che attingono sia al greco sia al latino, ma in questo caso forzo l'interpretazione glottologica per vederci un messaggio di ecumenismo, la ludopatia può interessare tutti, latini e greci, poveri e ricchi, gente in smoking con il martini agitato non mescolato e gente in canotta col bianchino. E poi è un ibrido che accosta termini opposti, anzi mondi contrari: il gioco e la sofferenza. Il prodotto è qualcosa di vitale reso mortifero.

C'è una specifica da fare, scrivendo in contesto clinico: ludopatia è una parola ben svezzata e chiunque, udendola, fa subito riferimento al problema. Ma in ambito specialistico, per esempio sui manuali diagnostici come il PDM-2 e il DSM-5, si usa la formula gioco d'azzardo patologico (GAP). Si può trovare un punto d'incontro pensando alla ludopatia come alla dipendenza dal gioco d'azzardo.

È opportuno, però, aggiungere un corollario alla specifica: perché il gioco si trasformi in sofferenza non è necessaria l'implicazione di denaro, di poste o di scommesse - per quanto sperperare un patrimonio aggiunga disperazione alla disperazione, come avviene nell'azzardo. La sofferenza subentra quando il gioco assume carattere compulsivo, obbligato, da ripetere in modo ossessivo, perdendo ogni sfumatura di divertimento, di sublimazione, di simbolismo, per diventare fine a se stesso; quando l'individuo non può più scegliere se giocare o meno, ma si ritrova incapace di controllare l'impulso a giocare, nonostante eventuali conseguenze negative anche molto gravose.

Come capire se una persona è ludopatica? E quali sono i comportamenti dannosi della ludopatia?

Una persona affetta da ludopatia può manifestare molteplici sintomi o segnali, che non devono necessariamente presentarsi tutti e possono esprimersi su una scala di gravità, sebbene si possa affermare che, presto o tardi, avranno effetti importanti sulla qualità della vita dell'interessato e di chi gli sta vicino.

I sintomi più comuni sono:

  • - compulsione a giocare d'azzardo e a ripetere l'esperienza del gioco in modo ossessivo
  • - aumento del tempo dedicato all'attività del gioco, sia in termini di frequenza di giocate che di durata di una singola fruizione del gioco
  • - atteggiamento inquieto o irritabile
  • - minimizzare il bisogno sentito di giocare d'azzardo
  • - minimizzare la quantità di denaro che si gioca o che si è perduta
  • - giocare quantità di denaro sempre maggiori per recuperare le perdite o per mantenere il livello di eccitazione
  • - chiedere soldi in prestito a una cerchia di conoscenze sempre più ampia
  • - adottare condotte criminali per recuperare soldi
  • - mettere a repentaglio relazioni affettive significative, il lavoro, proprietà

Perché una persona diventa ludopatica?

Come la maggior parte dei comportamenti umani, anche la ludopatia vede il concorso di vari fattori per emergere, manifestarsi e perdurare.

C'è il fattore genetico, che include:

  • - gli aspetti genetici in senso stretto (non esiste il gene della dipendenza, tantomeno di una sua forma specifica come la ludopatia; ma può esistere una predisposizione maggiore o minore all'ansia, all'impulsività, alla ricerca di sensazioni forti e rapide, che in determinate costellazioni possono esitare nel fenomeno della ludopatia); 
  • - l'esposizione, all'interno del nucleo familiare, a modelli comportamentali di dipendenza aumenta il rischio che generazioni più giovani emulino i predecessori.

C'è il fattore ambientale, tale per cui ambienti instabili o poco tollerabili possono indurre a cercare vie di fuga in dimensioni alternative, facili ma illusorie, come il gioco; con 'ambiente' si intende la famiglia, ma anche ambiti più ampi, fino a indicare la società, per cui:

  • - l'incertezza economica può far sviare verso allettamenti dal guadagno veloce;
  • - l'accesso più facile al gioco d'azzardo (da sale videolottery di prossimità nei quartieri a siti internet) riduce gli sforzi per mettere in pratica l'idea di giocare;
  • - la creazione di giochi sempre più divertenti e immersivi, come i videogames, che tolgono il "fascino del panno verde", ma fanno vivere "avventure" al giocatore.

E poi ci sono i fattori psicologici:

  • - quelli piuttosto "superficiali", intesi come comportamenti messi in atto per gestire un problema, come il gioco quale strategia per evadere da ansia, stress, depressione, vuoto;
  • - quelli più profondi, fino all'inconscio. Sono questi fattori che determinano, in ultimo, il passaggio dalla potenza all'atto di quella predisposizione familiare citata in precedenza; sono questi fattori che rendono la persona sensibile agli ambienti impoveriti e viziosi, spingendola verso l'adozione di soluzioni illusorie; sono questi fattori a rendere ludopatici anche quando non ci sono tendenza genetica o disagio sociale. E sono questi fattori che interessano in ottica psicoanalitica, perché spiegano il peso di una dipendenza nell'economia esistenziale di una persona.

Perché una persona diventa ludopatica?

Dal punto di vista della teoria psicoanalitica, tutte le forme di dipendenza, e la ludopatia non fa eccezione, sono accomunate da una regressione, cioè una involuzione: la dimensione del mentale cede il passo (all'indietro) al comportamento. In altri termini, il gioco (come l'assunzione di alcol, droghe, ecc.) rappresenta un tentativo di regolazione di stati interni non mediante strategie psichiche, ma con un comportamento rivolto all'esterno nella speranza di una soluzione magica e imprevedibile.

Anche la dimensione del corpo viene astratta, come quella mentale: già nell'etilista o nel tossicomane, il corpo è semplice strumento del comportamento di dipendenza, è il canale attraverso il quale la sostanza fa il suo effetto stordente; in caso di ludopatia, è ancora più evidente quanto il corpo si svuoti di senso e rimanga fissato alla sua natura primitiva di bisogno, ossia di tensione verso la soddisfazione immediata e totale attraverso un oggetto, una risorsa, un azzardo; non c'è possibilità di evolvere al desiderio, ovvero a un'elaborazione psichica fatta di immaginazione, fantasie, proiezioni.

La regressione, quindi, è al processo primario, quello del tutto e subito. La ricerca così regredita deve perpetrarsi continuamente (la compulsione a giocare), perché non c'è modo per la persona di interiorizzare la funzione di autoregolazione: così, per goderne, è necessario appoggiarsi ripetutamente a strumenti esterni, ossia reiterare la giocata o l'azzardo.

La mancata interiorizzazione della funzione autoregolativa non permette di proseguire nel processo di individuazione, il cui raggiungimento significa essere capaci di gestire in autonomia le stimolazioni (emotive e ambientali), ma anche distinguire se stessi dagli altri. Con una individuazione mancata (o parziale), si resta in una piena (o parziale) dipendenza, perché non si è lasciata alle spalle la dimensione simbiotica con l'oggetto di dipendenza (analiticamente, il primo oggetto di dipendenza è la madre).

Se il bambino non riesce a creare una rappresentazione interna della madre, non riesce ad accedere alla dimensione simbolica. Se non riesce a sfruttare le assenze materne (che, nel tempo, dovrebbero diventare sempre più lunghe e frequenti) per introiettarne la sua funzione, non potrà abbandonare il bisogno di dipendere da un oggetto esterno. Non si ha la cosiddetta introiezione dell'oggetto, semmai la persona ricorre all'incorporazione, che è un fenomeno molto meno fine, meno evoluto, meno autonomizzante.

L'introiezione mantiene il senso di mancanza, poiché si introietta la funzione dell'oggetto e non l'oggetto in sé; invece, l'incorporazione illude di fondersi nuovamente con l'oggetto, in una nuova unità onnipotente (come il bambino piccolo si sente fuso con la madre, sentendo che in due fanno Uno). Ma la fusione è illusoria, di qui la necessità di replicare più e più volte (per esempio, le giocate) l'incorporazione: l'oggetto non basta mai. La soluzione primitiva dell'incorporazione esita in un Io fragile e nell'impossibilità a tollerare la mancanza dell'oggetto (le crisi di astinenza).

Siamo, quindi, ancora in una dimensione pre-edipica. Infatti, un'altra implicazione del mantenimento (più o meno ben mascherato) della simbiosi è l'assenza di "castrazione", cioè di quel vissuto angoscioso ma necessario, di scoprirsi mancanti, incompleti, non onnipotenti. Le dipendenze, come la ludopatia, negano questa esperienza fondamentale che porta con sé la struttura edipica e con essa:

  • - la consapevolezza di non bastare a se stessi
  • - la capacità di provare senso di colpa
  • - l'interiorizzazione della legge paterna, e quindi il senso del limite.

Nei soggetti ludopatici, come quelli affetti da altre forme di dipendenza, queste caratteristiche non si osservano.

Concludo il capitolo raccontando un altro episodio di cui sono stato spettatore, mentre passavo vicino a un tabaccaio: un uomo coi capelli bianchi esce dal locale, vede un amico lontano e gli urla: "Ti prendo un grattino?". L'amico annuisce, il primo uomo rientra. Non vedo il finale, non serve, ormai sono oltre il bar. Ovviamente "grattino" è un gergo colloquiale per dire "gratta&vinci". In questo scarto linguistico mi sembra di scorgere proprio la dipendenza di un bambino piccolo che reclama ancora i grattini della mamma.

Ovviamente questo racconto non vuole assurgere a conferma empirica della teoria sopra esposta, ma va preso come un gioco di parole che può offrire uno spunto di riflessione.

Come aiutare un ludopatico? Si può uscire da soli dalla ludopatia?

Guarire da soli dalla ludopatia è quasi un miraggio: ciò che ha portato la persona a giocare - la motivazione profonda - non scompare magicamente e anzi mantiene il comportamento disfunzionale alimentandolo. Bisogna pure considerare che le perdite al gioco stimolano l'illusione di "rifarsi" della perdita e le vincite fanno da rinforzo, portando a replicare l'attività che ha ricevuto un premio.

È indicato farsi aiutare. Una psicoterapia, associata alla partecipazione a gruppi di mutuo-aiuto e di sostegno, può dare giovamento nei casi di ludopatia. Eventualmente, su consulenza psichiatrica, si può riflettere sull'assunzione di un farmaco per smorzare le emozioni forti correlate al fenomeno della ludopatia, come l'ansia o l'irritabilità, qualora fossero di ostacolo eccessivo per un processo psicoterapico e per la conduzione di una vita sociale soddisfacente.

Una psicoterapia a orientamento analitico mira a far prendere consapevolezza della dipendenza e a esplorare le motivazioni affettive che vi stanno alla base. Come per ogni altra dipendenza, è necessario lavorare nel profondo della persona, sui bisogni più primitivi e arcaici, perché è con le dimensioni della dipendenza infantile, mai pienamente risolta, che dipendenze successive risuonano e ne sono un'eco.

A uno sguardo psicoanalitico, la ludopatia non si esaurisce a un fenomeno comportamentale, ma viene letto come un segnale di bisogni interiori e relazionali più profondi e antichi, oppure come sintomo di quadri psicopatologici più ampi. Per esempio, alcuni disturbi di personalità annoverano tra i sintomi impulsività o comportamenti autolesivi, dei quali la ludopatia potrebbe essere una declinazione e sarebbe quindi sbagliato isolarla come problema principale del paziente.

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Dr. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano età adulta