Controtransfert, che cos'è e come si manifesta
L'analista ha come strumento di lavoro il suo inconscio, la sua personalità; perciò occorre che
il rapporto tra tecnica ed etica diventi indissolubile e ineludibile. (H. Etchegoyen)
La parola controtransfert (Gegenübertragung, controtraslazione) compare per la prima volta nel giugno 1909, in uno scambio epistolare tra Freud e Jung. Nell'anno seguente, a fine marzo 1910, il termine viene pronunciato davanti al pubblico di Norimberga, al Secondo Congresso Internazionale di Psicoanalisi. Da quel momento, conoscerà l'ufficializzazione in testi e saggi del settore. Il vocabolo 'controtransfert' presenta un suffisso che tende a dargli una connotazione negativa.
Tuttavia, il prefisso contro si può usare in almeno due accezioni: per qualcosa che si oppone e per qualcosa che accompagna. Ciò riflette la duplice natura del controtransfert, che può essere un evento che attacca l'equilibrio di un'analisi, ma anche una risorsa che la bilancia. Il prefisso sottolinea pure la natura diversa del controtransfert rispetto al transfert: non è un fenomeno pertinente all'analista analogo a quanto avviene nel paziente; non è un movimento affettivo inconscio nel curante idealmente sovrapposibile al movimento affettivo presente nell'analizzando. Se ci fosse identità, dovremmo parlare di transfert reciproco e non avremmo la situazione analitica.
Mentre il transfert del paziente è una produzione totalmente libera (entro, ovviamente, i vincoli dei suoi modelli relazionali), il controtransfert dell'analista non può essere altrettanto spontaneo, ma deve svilupparsi in risonanza con quanto proposto dal paziente. Se così non fosse, avremmo un incontro casuale tra persone sconosciute e senza scopo. Invece, in ascolto del proprio controtransfert, l';analista deve accorgersi del ruolo che il paziente gli attribuisce in quel preciso istante relazionale e discriminare le risposte affettive proiettate su quel ruolo tra tutte quelle appartenenti alla sua persona.
Che cosa s'intende per controtransfert?
Il controtransfert è una risposta dell'analista, e nell'analista, al transfert del paziente. Può declinarsi come sentimenti o affetti suscitati dal paziente, come afflati non completamente spiegati dal momento presente, come sensazioni non riconducibili alla situazione in atto, come ricordi evocati in modo apparentemente inspiegabile. È una forza interna, inconscia e inevitabile, che dall'inizio della sua scoperta ai giorni d'oggi ha visto espandere le funzioni che le vengono riconosciute. In principio, era concepita solamente come una resistenza del curante, come un ostacolo alle sue possibilità di compresione oggettiva del paziente. È, questa, una concezione che si basa sul precetto della neutralità dell'analista, il quale è un convincimento ormai datato e riferito a un funzionamento analitico ideale, diverso da quel che poi si vive nel reale.
A fronte di questa visione "classica" del controtransfert, dominante nella prima metà del XX secolo, già qualche autore coraggioso proponeva di riconoscere al controtransfert anche valori positivi, un'utilità da sfruttare, e criticava il mito dell'analista quale osservatore neutrale e oggettivo. Negli anni, il modo di concepire la psicoanalisi cambiava, essa è stata sempre più intesa come una relazione che coinvolge due persone, oltre che due ruoli, sebbene nel rispetto delle differenti funzioni. La relazione analitica, così come si configura, non è più caratterizzata dalla neutralità affettiva dell'analista, ma dalla sua capacità di vivere quegli affetti, di riconoscerli e di usarli in promozione del lavoro col paziente, senza scadere nella coazione di agirli.
Questa nuova visione del controtransfert come risorsa non deve ingannare e fare abbassare la guardia: resta comunque il pericolo che il curante attribuisca vissuti assolutamente personali al paziente oppure che, usato "grezzo", il controtransfert abbia effetto di resistenza: è necessario che l'analista lo elabori per poterlo usare quale chiave di comprensione del non ancora rappresentato del paziente e quale sostegno per le sue interpretazioni.
Come si manifesta il controtransfert?
Il controtransfert si manifesta in modo inevitabile. Appartiene alla natura umana dell'analista e alla sincerità della relazione che egli intrattiene con il paziente. Il controtransfert non si declina necessariamente come sentimenti amorevoli dell'analista verso l'analizzando, ma può interessare tutto lo spettro degli affetti e delle sensazioni umani. È fondamentale che l'analista si accorga di quali affetti stanno emergendo dentro di lui, li riconosca e sappia individuare quali appartengono proprio alla relazione in atto.
È un passaggio importante, perché il controtransfert è la manifestazione di un meccanismo chiamato identificazione proiettiva, ossia una forma di comunicazione primitiva con cui il paziente condivide il suo mondo interno: egli, in modo inconscio, induce l'analista ad assumere un ruolo coerente col proprio transfert, proietta in lui i personaggi necessari a rimettere in scena, nella cornice protetta dell'analisi, le dinamiche disfunzionali da riparare. Nel controtransfert, quindi, si manifesta la dimensione preverbale della relazione analitica, poiché lo strumento di scambio e di comprensione non sono le parole, ma le emozioni trasmesse e le sensazioni evocate.
Saper utilizzare il controtransfert è un processo complicato e faticoso, ma consente di accedere ai livelli non strutturati della psiche, facilitando così il lavoro con persone dal funzionamento primitivo, oppure con bambini e adolescenti o, ancora, con aree in cui il linguaggio dei pazienti non riesce ancora a giungere. Quindi, il controtransfert si manifesta al contempo come ostacolo all'atteggiamento professionale, come strumento prezioso e anche come campo del lavoro analitico e del cambiamento del paziente.
Come gestire il controtransfert?
Al netto del saperlo utilizzare come strumento, il controtransfert è un fenomeno di interferenza, tanto più che è ineluttabile. Interferisce con la distaccata professionalità dell'analista sottoforma di attivazione affettiva, e interferisce una seconda volta perché il paziente percepisce questa attivazione e ne viene, circolarmente, influenzato. Come già si è detto, è una reazione inconscia, perciò, l'obiettivo di averne un controllo continuo e totale è, se non velleitario, almeno alquanto arduo.
Il controtransfert, risorsa o ostacolo che sia, è qualcosa che va gestito. È, innanzitutto, importante che l'analista abbia fatto una buona analisi personale, così che temi irrisolti della sua storia non restino punti estremamente sensibili e che possano riaprirsi nel transfert con un paziente; l'analisi personale dell'analista ne migliora la stabilità di carattere e ne matura la personalità, caratteristiche essenziali per mantenere rapporti professionali.
Per gestire il controtransfert è, poi, importante che l'analista, durante lo svolgimento del lavoro clinico, presti attenzione al paziente ma anche a se stesso, e analizzi emozioni e sensazioni che sente muoversi dentro, come pure atteggiamenti inediti o reazioni corporee inaspettate per capire quali e quanto di esse sono evocati dal paziente e dal suo mondo interiore. Le proprie condizioni soggettive durante la seduta possono così dare utili informazioni sulla realtà interna dell'altra persona.
Quanti tipi di controtransfert?
Racker, un analista degli anni '50, distinse due classi di controtransfert in base al tipo di identificazione in atto tra analista e paziente: controtransfert corcordante e controtransfert complementare. Nel primo caso, le parti della personalità (Io, Es) dell'analista si identificano con quelle del paziente, generando una sorta di sovrapposizione del vissuto: l'analista sperimenta come si sente il paziente in un determinato rapporto o situazione; nel caso della complementarietà, invece, l'analista si identifica con gli oggetti interni del paziente, ovvero con i personaggi e le rappresentazioni che popolano il suo universo psichico: ci sarà, allora, uno scarto del sentire e l'analista si farà più un'idea di come gli altri vivano il paziente.
Caso a parte è l'identificazione con il Super-Io (l'istanza che regola il comportamento e presiede alla coscienza morale), perchè è al tempo stesso un tratto della personalità e un oggetto interno di un individuo. Si può ritenere che l'identificazione sia concordante quando la valutazione della colpa nell'analista coincide con la valutazione presente nel paziente; al contrario, l'identificazione è complementare quando l'analista reagisce in modo diverso dal censore interno al paziente. Di norma, la partecipazione controtransferale maggiore si conosce quando l'identificazione è concordante.
Una seconda distinzione è, talvolta, fatta tra controtransfert diretto e controtransfert indiretto: si ha la pima condizione quando la risonanza che sente l'analista è evocata dal paziente; il caso indiretto si ha quando il controtransfert è suscitato da qualcun altro rispetto al paziente: per esempio, se un analista desidera di essere apprezzato dal collega che gli ha inviato quel paziente.
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Dr. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano età adulta