In che cosa consiste la psicoterapia? A cosa serve?
In che cosa consiste la psicoterapia? È una domanda che sempre più persone, soprattutto dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni, si pone e non sempre trova una risposta corretta. L’educazione alla cura della mente è sempre più inserita nella nostra società, ma dare una risposta chiara è compito del professionista che la pratica: lo psicoterapeuta. La psicoterapia è un percorso di cura dei disturbi psicopatologici di varia natura, psicologici e psichiatrici, e di gravità diversa, passando dai sintomi nevrotici a quelli psicotici.
La cura della mente ha lo scopo, attraverso gli strumenti psicologici, soprattutto la parola, di conoscere, approfondire, analizzare e cambiare i processi psicologici alla base del malessere e del disagio del paziente. In questo articolo cercheremo di approfondire le domande su come si svolge la psicoterapia, quali sono i benefici e i tempi di un percorso psicoterapico, non solo in termini di durata ma anche di frequenza delle sedute; infine cercheremo di capire quali emozioni il paziente può sentire dopo una seduta di psicoterapia.
Come si svolge una seduta di psicoterapia?
La psicoterapia utilizza come strumento d’eccellenza la parola: il racconto spontaneo del paziente può spostarsi da ciò che gli succede nella vita quotidiana, a ciò che lo fa star male. Tramite le libere associazioni e l’interpretazione dei sogni il terapeuta psicoanalitico deve cogliere il materiale inconscio che il paziente non riesce a sentire.
Fin dalla nascita della psicoanalisi, Freud capì che aiutare il paziente ad esprimere contenuti considerati come inaccettabili eticamente provocava un miglioramento sintomatico, in particolare se associato al corrispondente vissuto emotivo. Nasce così la “talking cure” (“cura parlata”) che permette al paziente di agire una forma di pulizia emotiva interna dalla sofferenza psichica.
In una seduta di psicoterapia psicoanalitica, il paziente prova ad esprimere, con l’aiuto del terapeuta, le parti di sé in contrasto con esso. Se ai tempi di Freud, la società era più rigida a livello morale, oggi viviamo in un’era caratterizzata dall’esibizione del sé e da canali di comunicazione che permettono e promuovono la disinibizione. Nonostante ciò, l’individuo è comunque portato a mettere a tacere impulsi, desideri e fantasie in particolare quando questi contrastano con il bisogno di sentirsi apprezzati. In ogni seduta di psicoterapia psicoanalitica avviene la stessa danza: il paziente parla di sé e il terapeuta ascolta ciò che dice e coglie ciò che non riesce a dire.
Come ti cambia la psicoterapia?
Nel lungo percorso che portò alla costruzione del metodo psicoanalitico, tuttavia, fu lo stesso Freud ad accorgersi che l’emergere di contenuti inconsci non era di per sé sufficiente a portare a termine l’obiettivo terapeutico. In particolare, egli si accorse che quello tra paziente e terapeuta era comunque un rapporto e perciò, come tale, era sottoposto alle medesime vicissitudini.
La differenza del rapporto tra paziente e terapeuta e tutte le altre relazioni, risiede nel fatto che terapeuta e paziente costruiscono una sorta di laboratorio dove la relazione viene osservata e compresa con uno sguardo terzo. La relazione tra terapeuta e paziente rimarrà perciò caratterizzata dall’interazione verbale. In altre parole, non potrà avere caratteristiche amicali, ma pur nella profondità delle interazioni dovrà necessariamente essere confinata all’interno della cornice psicoterapeutica.
Nei rapporti interpersonali, infatti, tutti quanti noi mettiamo in atto meccanismi automatici appresi inconsapevolmente nel corso della vita, e in particolare nell’infanzia, che a volte possono provocare difficoltà e sofferenza. La loro riedizione in un contesto protetto e finalizzato alla comprensione delle determinanti affettive ed emotive permette di gettare nuova luce sulle proprie vicende di vita e di esperire in modo diverso se stessi e le relazioni.
Ciò che cambia nel paziente che decide di intraprendere un percorso di psicoterapia psicoanalitica è il suo modo di ascoltarsi e conoscersi meglio, un ascolto che richiede tempo, impegno e motivazione, che sono già una forma di cambiamento nella forma mentis del paziente.
Quanto dura un percorso di psicoterapia?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo analizzare due presupposti fondamentali: l’orientamento del terapeuta e le esigenze del paziente.
L’approccio della psicoterapia psicoanalitica considera il disagio, il malessere o i sintomi del paziente come la punta dell’icerberg; in altre parole l’ansia che un paziente può provare è solo la conseguenza di altre dinamiche disfunzionali più profonde che il paziente solitamente da solo non riesce a vedere. Queste dinamiche profonde e inconsce sostengono dal basso le reazioni e i comportamenti del paziente; il sintomo è solo un campanello d’allarme che continua a suonare per catturare l’attenzione del paziente che, a questo punto, non riuscendo a capire come spegnere questo allarme, chiede l’aiuto di un tecnico.
Ne consegue che la psicoterapia psicoanalitica ha una durata variabile in base a quanto il paziente sente di voler andare in profondità per comprendere le cause di questi sintomi, invece che silenziarli senza volerne conoscere le cause. Sarebbe scorretto, da parte del terapeuta, anticipare una possibile durata della psicoterapia perché ciò varia in base alle risorse del paziente, dal suo malessere e a quanto quest’ultimo è radicato nella sua storia personale, oltre alla sua motivazione a lavorarci in profondità.
Quante sedute di psicoterapia a settimana?
La cadenza delle sedute di una psicoterapia dipende, come nella domanda che ci siamo sopra posti, da diversi fattori. È importante precisare che il terapeuta, avendo colto la struttura di personalità del paziente che ha di fronte a sé, dovrebbe proporre una frequenza che ritiene più idonea allo scioglimento dei nodi conflittuali di quel paziente. La metodologia psicoanalitica predilige una frequenza che oscilla dalle 2 fino a un massimo di 4 sedute settimanali.
La frequenza con cui si effettuano le sedute dipende anche molto dalla gravità del disagio psicologico, e anche dalla reattività del paziente. Se per alcuni quattro sedute settimanali non riescono ad innescare alcun processo di analisi e guarigione, per altri casi può succedere che una seduta settimanale sia sufficiente per avviarsi ad un lavoro di psicoterapia valido.
Il numero delle sedute è importante perché, insieme ad altre componenti del setting, favorisce lo sviluppo di una situazione ottimale ma non rappresenta “il” fattore principale. La volontà di investire in modo così consistente può essere rappresentativa di un forte desiderio di guarigione e risoluzione dei problemi; per questo la terapia probabilmente potrà avere degli ottimi risultati già in partenza.
Cosa succede in una seduta di psicoterapia?
Come abbiamo accennato prima ogni seduta può essere pensata come una danza tra paziente e terapeuta dove ognuno dei due fa i suoi passi per creare la coreografia che è la psicoterapia. Spesso però ci si chiede se i passi del terapeuta sono volti a dare consigli o indicazioni su ciò che il paziente deve fare per star meglio, con la conseguente declinazione se le sedute di psicoterapia faranno sentire il paziente senza autonomia. Sfatiamo subito questa falsa credenza: il terapeuta non deve dare consigli o limitare la libertà di azione del paziente.
Ciò che è importante è il fatto che la relazione psicoterapeutica necessita della co-partecipazione di terapeuta e paziente che, seppure con ruoli diversi, hanno entrambi un ruolo attivo. La verità emotiva è infatti conosciuta soprattutto dal paziente che apprende in psicoterapia un metodo per farla emergere. Anche per questo in psicoterapia non si ricevono consigli; è importante non distogliere gli sforzi dalla conoscenza del mondo interno. Sarà poi il paziente a prendere le decisioni per sé, rafforzato da una maggiore consapevolezza e maturità emotiva.
Come ci si sente dopo una seduta di psicoterapia?
È probabile che dopo ogni seduta di psicoterapia il paziente rifletta attivamente su ciò che è emerso durante la seduta, o che, senza una riflessione attiva, il paziente si inizi a percepire diversamente rispetto a prima. Non immaginiamo questi passaggi come degli on/off ma come un fluire lento e silenzioso che porta a un cambiamento.
Non è perciò necessario cambiare perché si è sbagliati, ma perché le giuste misure che avevamo preso tanto tempo fa per fronteggiare le difficoltà e che abbiamo dovuto mantenere con forza, oggi sono un po’ invecchiate e necessitano di un rinnovamento. Queste antiche misure le abbiamo costruite all’interno di relazioni interpersonali, con altri e per altri ed è per questo motivo che vi è necessità di un altro per rimodellarle.
Chiaramente tale processo può avvenire anche al di fuori di una psicoterapia, ma quando la viscosità del mondo interno porta al ripetersi di esperienze fallimentari, al blocco evolutivo o alla continua pressione dilaniante della sofferenza psichica, intraprendere un viaggio dentro se stessi con la compagnia di un capitano di lungo corso, se non può eliminare le tempeste, permette tuttavia di governare la nave.
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Dr.ssa Valentina Carella - Centro Clinico SPP Milano età adulta