Setting in psicoterapia psicoanalitica
Se si intende il setting con una definizione debole, è possibile affermare che tutte le relazioni hanno un setting, ovvero una cornice entro la quale gli scambi hanno luogo. Ma, come ci sono relazioni particolari, ci sono anche setting con un valore speciale. La relazione terapeutica prevede un setting clinico con caratteristiche ben definite e funzioni mirate a proteggere la relazione di cura e a favorire il cambiamento.
COSA SI INTENDE PER SETTING TERAPEUTICO?
Per parlare di setting è utile, come sempre, partire dalla parola in sé e, quindi, da ciò che dice un vocabolario. Setting è un termine inglese che assume i significati di ambientazione, di collocazione, di sfondo, di regolazione. Vengono proposte anche altre accezioni, tutte simili e ognuna con una propria sfumatura preziosa. Per esempio, il rimando all'ambientazione fa pensare al setting psicologico come a un ambiente, uno spazio, da intendersi però non solo come spazio fisico, materiale, bensì come uno spazio-tempo, uno spazio entro il quale accadono dei fenomeni, innanzitutto uno spazio che ospita una relazione nella sua processualità. Il setting è un contenitore, insomma.
L'idea di collocazione ci aiuta a immaginare che in questo contenitore l'arredo, le persone, le caratteristiche della stanza hanno un posto pensato, rigoroso ma non necessariamente rigido; e che lo stesso contenuto sia collocato entro una cornice temporale, per esempio l'orario della seduta. Il vocabolo setting declinato come sfondo indirizza verso una dimensione che non s'impone, ma c'è; che svolge una funzione importante, contestualizza e struttura, ma che resta implicita finché tutto scorre secondo i piani: le travi in ferro o le colonne di cemento armato sono fondamentali per sorreggere una casa, eppure non si vedono se la costruzione non ha problemi.
Il setting come regolazione allude a un sistema di norme, di regole appunto, e di aggiustamento di tali norme per far sviluppare una relazione terapeutica nel migliore dei modi. Si può citare anche la nota massima che le regole sono fatte per essere infrante, ma essa implica che per essere ribelli è necessario un sostrato di leggi cui potersi ribellare.
Il setting, quindi, può essere pensato come un'istituzione; e, come ogni istituzione, ha aspetti concreti e aspetti astratti. Ha i palazzi e le stanze, ma all'interno operano le dinamiche, i rapporti, le regole, l'emotività. È fatta di invarianti, che permettono all'istituzione di essere tale; ma questa struttura dev'essere dotata di una flessibilità tale da garantire sostegno da un lato e, dall'altro, da usare la variazioni come risorsa e non come motivo di infragilimento.
È un'istituzione complessa, il setting psicoterapeutico. Il suo ambiente fisico è la stanza della terapia, dove paziente e terapeuta s'incontrano; è la posizione che i due occupano in quella stanza che, a grandi linee, deve rimanere sempre la stessa - non invertono le poltrone a seconda della seduta, oppure non accade che per una volta a sdraiarsi sul lettino sia il terapeuta; è l'arredo della stanza stessa, che non deve mutare come nelle vetrine dei negozi, a seconda delle stagioni.
Ci sono aspetti di solito raccolti sotto il cappello di setting fisico o esterno, ma non così "hard" come le mura, e che lambiscono una condizione tra il concreto e l'impalpabile: si tratta, solo per fare alcuni esempi, dell'orario della seduta - non deve variare di volta in volta, come un oggetto in continua contrattazione, non deve rimandare a una programmazione estermponea che porta con sé un ineluttabile alone di incertezza - oppure i termini del pagamento, dal denaro in sé (in contanti o smaterializzato tramite pos o bonifico) alla sua entità, fino alla cadenza stabilita per onorare il lavoro del terapeuta; ancora, la durata della seduta, che deve essere conosciuta da entrambi i partecipanti e rispettata come una garanzia di accogliemento e di limite.
Ancora, il setting psicoterapeutico è dimensione psichica o interna: è dato dal tipo di attenzione prestata dal terapeuta; dal riconoscimento e dal rispetto, da parte di entrambi, dei ruoli che assumono all'interno della specifica relazione di cura; dall'atteggiamento neutrale del curante, il quale deve essere capace di essere distante ma non distaccato, empatico ma non travolto dalle emozioni portate dal paziente, accogliente ma non amico.
Insomma, il setting è stato anche definito come la somma di tutti i dettagli della tecnica. Possiamo aggiungere che una tecnica totale magari non garantisce la creazione di un'opera d'arte, ma la realizzazione di un ottimo prodotto artigianale è assicurata. Per l'arte, si deve aggiungere il talento dell'analista e del paziente.
COME DEVE ESSERE IL SETTING TERAPEUTICO?
E' già stato possibile ritrarre il setting come un fenomeno sfaccetato, con una dimensione esterna costituita da apparati fisici, concreti e contrattuali (quali sono la stanza dove si terrà la terapia, i giorni delle sedute, la frequenza e la durata delle stesse, l'onorario, ecc..) e una dimensione interna, le cui componenti sono gli atteggiamenti dei partecipanti alla relazione, innanzitutto del terapeuta, che è chiamato a fornire un buon contenitore, mentre al paziente è richiesto di aderirvi nelle modalità che gli sono possibili.
Ma è possibile enucleare anche altre caratteristiche più generali, quelle che fanno sentire di trovarsi in un buon setting:
- - la prevedibilità: essendo costituito da elementi invarianti, che si ripetono, il setting offre la sicurezza della familiarità; è nella prevedibilità della madre che il neonato affida la propria vita, è nella prevedibilità dell'esperienza che le persone affidano l'apprendimento ed è nella prevedibilità della situazione analitica che il paziente può regredire e mettere liberamente in atto le sue modalità relazionali;
- - la ritualità: l'invarianza del setting rimanda a una condizione a metà strada tra la sacralità del rito e la ripetizione formale della ritualità, dove ogni invarianza toglie agli accadimenti la casualità, senza però privarli della loro autenticità;
- - la fiducia: correlato della prevedibilità, l'invarianza del setting deve essere tale da suscitare nel paziente la fiducia per regredire e aprirsi a una nuova relazione significativa e potenzialmente trasformativa. La ricorsività del setting degno di fiducia non è vuota come nella coazione a ripetere, ma carica di un senso di sicurezza e di potenziale trasformativo;
- - il senso di protezione e di facilitazione: l'invarianza del setting si pone come una struttura di confini, capace di proteggere dagli eccessi e di sentirsi contenuti; paternamente limitati e maternamente accolti; facilitati nel mettere in discussione difese e modalità annose ma disfunzionali, e compresi nel coraggio e nei tempi necessari a fare tutto ciò.
A COSA SERVE IL SETTING TERAPEUTICO?
Le funzioni cui il setting assolve sono implicite nelle sue definizioni, le abbiamo accennate già nel descrivere il fenomeno.
- - Il setting offre, innanzitutto, un contenimento: come tale, rimanda alla funzione materna, ma il contenitore analitico deve fare spazio a tutte le parti del paziente, da quelle dell'infanzia non ricordata all'età adulta, del presente;
- - il setting ha, inoltre, la fondamentale funzione di farsi garante dell'analisi:
. favorisce la regressione, necessaria al lavoro nel profondo;
. promuove l'instaurarsi della nevrosi di transfert, ossia quella dimensione in cui sull'analista vengono proiettate aspettative, dipendenze e modalità relazionali apprese con figure significative precedenti;
. fa sì che un intervento dell'analista non abbia l'impatto di semplice commento, bensì valore di interpretazione;
. facilita la spinta trasformativa della situazione psicoanalitica. - - La dimensione di sfondo invariante del setting gli attribuisce anche la funzione ambivalente, ma non ambigua, di non-processo/processo. Da un lato, segue l'assioma della fisica e della matematica, secondo cui si può studiare un fattore solo mantenendo invariati gli altri fattori del sistema: il setting fa questo, mantiene tutto inalterato (non-processo) per contenere la relazione analitica (il processo); il non-processo è necessario perché il processo abbia luogo. Al contempo, il setting è anche un processo, poiché garante di ciò che non muta: non è uno sfondo passivo.
COSA SUCCEDE QUANDO IL PAZIENTE VIOLA IL SETTING TERAPEUTICO?
Si ha una violazione del setting quando una o più delle costanti che lo caratterizzano varia. Il primo effetto che si registra è che il setting, da dimensione implicita, emerge; lo sfondo, fino a quel momento muto, diventa esplicito e non appare più scontato. Le violazioni possono essere di varia natura, varia entità e compiute non solo dal paziente, ma anche dall'analista. In tutti i casi, portano con sé un senso di catastrofico:
- - le violazioni più gravi possono rappresentare una catastrofe per l'analisi, inficiandone il lavoro fatto fino a quel momento e il proseguimento: per esempio, quando la relazione di cura viene erotizzata, diventando in un certo senso "incestuosa" oppure quando il paziente fa drop-out, cioè non si presenta più, interrompendo improvvisamente la cadenza delle sedute;
- - altre violazioni sono spesso destabilizzanti, foriere di piccole rivoluzioni e crisi nel processo terapeutico, ma possono essere analizzate e capovolgersi in materiale utile per la terapia: possono essere segnale che qualcosa nel mondo interno del paziente sta cambiando oppure messaggi agiti indirizzati all'analista e all'analisi. La stessa violazione, inoltre, può avere lettura diversa a seconda dell'individuo che la mette in atto: pensiamo a un paziente che è sempre stato rigoroso nel pagamento dell'onorario, ma che all'improvvisa "dimentica" di farlo o lo salda in ritardo: innanzitutto, ciò rappresenta una variazione degli accordi e, quindi, una breccia nel setting. E' opportuno che l'analista non lasci correre questa variazione, ma ci si soffermi insieme al paziente per capire se quel ritardo rappresenta un segnale di inedita flessibilità in una personalità fino a quel momento eccessivamente severa e rigorosa; oppure se l'accento è da porre sul bisogno di attaccare aggressivamente l'analista, magari dopo una seduta in cui c'è stata un'interpretazione pregnante; oppure se si è trattato di un atto svalutativo verso il lavoro terapeutico; o altro ancora, perché una violazione fiorisce nell'unicità della storia del paziente e della relazione con l'analista;
- - un altro tipo ancora di violazione è "fisiologico", appartiene alla dimensione concreta della relazione e delle persone che la vivono: è il caso, per esempio, di quando l'analisi, come ogni altro lavoro, è interrotto dalle vacanze dell'analista oppure una seduta saltata per un suo impegno improrogabile. Sono, questi, casi in cui la realtà apre uno squarcio nella dimensione quasi onirica tipica di una psicoanalisi ben condotta, un salto in quel flusso di ricorsività che rassicura e trasforma. Ha il sapore catastrofico di quando la sveglia interrompe un sogno.
Insomma, il setting è costantemente messo alla prova. Un ultimo esempio, solo in apparenza banale: un paziente arriva in seduta e chiede un bicchiere d'acqua. Quella richiesta non rientra nel setting, ne rappresenta una violazione. Come si muove l'analista? Guarda al paziente come alla persona che, in quel mese caldo, ha solo sete? O come al bambino che sta emergendo nella regressione promossa dall'analisi e che domanda "atte buono" al terapeuta-mamma? O al soggetto sofferente, che vede in quel sorso d'acqua la simbologia di un atto di purificazione?
Un caposaldo nella costruzione del setting è l'invito di Freud a condurre l'analisi in privazione e astinenza, cioè evitare, per quanto possibile, la gratificazione delle pulsioni del paziente.
Ovviamente l'invito non era mosso da sadismo, ma cela una riflessione clinica e terapeutica (mantenere viva la motivazione del paziente, proteggerlo da commistioni deleterie tra rapporto di cura e altri tipi di rapporto, mantenere il setting tanto prezioso). Altrettanto ovviamente, quel bicchiere d'acqua Freud lo avrebbe offerto; ma, ancora ovviamente, avrebbe poi approfondito col paziente la natura di quella richiesta, per alimentare il processo di conoscenza e cura. Perché in analisi (quasi) nulla è precluso, purché si abbia ben presente cosa si fa e perché.
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Dott. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano dell'età adulta