Essere madre oggi, identità femminile e maternità
“Donna non si nasce, lo si diventa”, diceva Simone De Beauvoir e a distanza di decenni, oggi questa frase è più vera che mai. Trovare la propria identità per una donna oggi è più complesso rispetto a quanto non fosse fino anche solo fino a 50 anni fa perché sono venuti a cadere molti condizionamenti sociali che nelle generazioni passate hanno limitato le possibilità di scelta e di autodeterminazione delle donne.
Un tema centrale in questo senso è quello della maternità, un tempo scontata, oggi scelta e rivendicata, oppure evitata consapevolmente, o rimandata a oltranza. In ogni caso, si tratta di una domanda che prima o poi una donna si pone, e sul piano intrapsichico la risposta ha un peso importante nella strutturazione l’identità.
Essere madre oggi: una scelta complessa
Come fa notare Elena Rosci (“Mamme acrobate”, Ed. Rizzoli) di fatto la maternità è diventata una libera scelta soltanto con l’avvento delle leggi sul divorzio e sull’aborto e con l’introduzione della pillola anticoncezionale. Prima, di fatto, sposarsi era una scelta quasi scontata per la maggioranza delle donne e diventare madri era una conseguenza naturale. Il matrimonio, indissolubile, forniva un “grembo psichico” pronto ad accogliere i figli e la mancanza di contraccettivi rendeva impossibile pianificare le nascite. La coppia si strutturava intorno a un progetto comune che trascendeva le istanze individuali, in una complementarità di ruoli e compiti.
Da quando le leggi sul divorzio e sull’aborto hanno reso “reversibili” eventi prima senza ritorno ed è stato possibile vivere la sessualità fuori dal matrimonio con meno rischi, tutto è cambiato sul piano sociale e allo stesso tempo sul piano intrapsichico. Nei matrimoni, non necessariamente fondati su un progetto comune, spesso sono diventati prioritari i progetti di autorealizzazione del singolo e molte coppie, unite da un rispecchiamento narcisistico, sciolgono il loro legame se questo va in crisi. Venendo a mancare quella cornice di sicurezza che esisteva prima, la maternità smette di essere “automatica”: a partire da questo momento le donne si pongono la domanda se diventare madri o meno.
Scegliere di essere madre oggi significa inserire anche questo ruolo all’interno di una connotazione identitaria articolata, che include solitamente ambizioni professionali, impegno nella cura di sé e aspettative riguardo alla coppia. A questo proposito Elena Rosci parla di “mamme acrobate”: acrobate non solo perché nella vita quotidiana si trovano a doversi districare tra ruoli e richieste diverse, ma anche perché a livello intrapsichico, abbandonata la sicurezza spesso depressiva della mancata scelta delle loro nonne, accolgono la sfida di mantenere l’equilibrio instabile tra le loro tante ambizioni e tra le diverse identità che prendono su di sé nel cammino mai scontato nella definizione di se stesse.
In questo quadro, scegliere di diventare madre significa dedicarsi a un’impresa impegnativa. Se quando avere figli era considerato scontato prevaleva l’idea di un’educazione spontanea, ora le madri sono perfezioniste e si sentono ingaggiate in prima persona, sempre e costantemente, nell’opera di crescere i loro figli, investiti narcisisticamente come parti di sé. Provare ambivalenza nei confronti di un figlio è causa di dolorosi sensi di colpa e di inadeguatezza, anche se, come faceva notare Winnicott ne “L’odio nel controtransfert”, è naturale che la madre provi sentimenti ben diversi dall’amore per il proprio figlio, che mette in pericolo il suo corpo durante la gravidanza e il parto e “rappresenta un’interferenza alla sua vita privata, una sfida alla precedente occupazione”.
L’arrivo di un figlio, inoltre, cambia inevitabilmente gli equilibri della coppia ben più di quanto accadesse quando i ruoli erano divisi e la donna era di fatto consacrata allo spazio domestico e all’accudimento dei figli. Ora entrambi i genitori si prendono cura dei figli, e se questo ha indubbi vantaggi pratici, può anche creare competizione e conflitto all’interno della coppia.
Diventare madre, insomma, non è più scontato e spesso, senza che ci sia una scelta esplicita di rinunciare, la decisione viene posticipata fino all’ultimo. A volte proprio quando le sue possibilità generative sono ormai quasi esaurite, la donna sente forte dentro di sé il desiderio di diventare madre. È importante comprendere che cosa ci sia in questo desiderio, che in alcuni casi può celare una domanda su si sé che non ha necessariamente a che vedere col generare un figlio.
Maternità e senso di sé: quando “capita di rimanere incinte”
All’estremo opposto della maternità rimandata, pensata, scelta e rivendicata oppure consapevolmente rifiutata, sta la gravidanza occasionale. Anche rimanere incinta senza volerlo, però, ha a che fare con l’identità femminile. Come dice Caterina Arcidiacono (“Identità femminile e psicoanalisi”, Franco Angeli), la gravidanza può rappresentare “un tappo” che chiude una dimensione di vuoto e di “non significato” della propria esistenza. Legata al rapporto con la propria madre, al proprio ideale dell’essere donna e all’immagine sociale e culturale di femminilità interiorizzata”, la gravidanza occasionale può essere collegata a un conflitto identitario tra emancipazione e modelli tradizionali.
La gravidanza non cercata può arrivare in un contesto di “vuoto psichico” che deriva da una ferita narcisistica o da un sé poco investito e valorizzato; in questo caso assume un ruolo difensivo e compensatorio, rispondendo al bisogno di conferma della propria identità. Soprattutto nell’adolescenza, a muovere (inconsciamente) la ragazza non è il desiderio di essere madre, ma un desiderio narcisistico di gravidanza teso a dimostrare di avere un corpo che “funziona”, come quello della propria madre (Ammaniti, Gallese “La nascita dell’intersoggettività”, Raffaello Cortina Editore).
Altre volte la maternità può essere agita in un momento nel quale la donna sta realizzando se stessa allontandosi dal modello materno: in questa situazione di ambivalenza, la gravidanza può essere legata alla paura di non riuscire ad avere successo in quel che sta facendo, oppure essere una risposta all’impossibilità di riconoscersi davvero nell’immagine di sé come donna “in carriera” impegnata lontano dalla famiglia.
Nella scelta di diventare o di non diventare madre si muovono rappresentazioni, fantasie e fantasmi legati anche alla relazione con la propria madre, un percorso di psicoterapia può essere importante per capire qual è la domanda che davvero ci si sta ponendo e cercare le risposte.
Dr.ssa Sara Pagani - Centro Clinico SPP MI età adulta
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