Psicoterapia e farmaci: perché a volte il farmaco non funziona?

Perché il farmaco a volte non funziona? Come si può aiutarlo con la psicoterapia

Capita spesso ai medici e ai farmacisti di ascoltare le lamentele dei propri assistiti che sono insoddisfatti dagli scarsi effetti ottenuti da un farmaco, prescritto per la cura di un determinato sintomo.

Stanche del malessere che le tormenta da parecchio tempo, tali persone si mostrano completamente sfiduciate rispetto ad uno stato di sollievo che ormai per loro è visto come un'oasi irraggiungibile. Tuttavia, in alcune circostanze, può capitare che la cura farmacologica non fornisca i risultati desiderati perché il malessere si origina da un intreccio di cause organiche e psicologiche che, per essere districato, ha bisogno che il farmaco “sia tenuto per mano dalla parola”. Questo per cercare di capire che cosa quello specifico sintomo sta tentando di comunicare al suo portatore, utilizzando il corpo.

Si rende pertanto necessario che la medicina sia affiancata da una relazione di cura fondata sulla parola, ossia da una psicoterapia, in cui il sofferente, insieme al terapeuta, possa provare ad alzare lentamente il sipario su quegli aspetti della vita interna che si nascondono dietro al palcoscenico della sua vita. Sono proprio i pensieri e le emozioni che si muovono dentro di lui, e che si fanno “vedere nel corpo” ma non si fanno “vedere dalla mente”, che scalpitano per essere ascoltati e compresi. A volte però tali vissuti interni sono sentiti come troppo pericolosi per essere osservati in totale solitudine, meglio farlo con qualcuno al proprio fianco, che sia capace di contenere le paure che essi potrebbero provocare e di condividere ciò che di attraente la loro scoperta potrebbe portare.

La noncuranza della stretta connessione esistente tra la mente e il corpo, purtroppo, può portare spesso a focalizzarsi esclusivamente sulla cura di una sola di tali entità, a discapito dell’altra. Proviamo allora a vedere insieme come possa mai essere possibile che il corpo e la mente dialoghino tra di loro.

IL RAPPORTO MENTE - CORPO

Dal punto di vista storico, il rapporto mente - corpo ha visto l'alternarsi di differenti formulazioni; partendo dal pensiero di antichi filosofi, si è arrivati alle più recenti considerazioni che uniscono le conoscenze mediche al sapere psicologico e filosofico, entrambi nel tempo sempre e inevitabilmente in evoluzione.
È nota la dicotomia tra la mente e il corpo postulata da Platone, e dai suoi successori, tra cui Cartesio, secondo cui tali entità erano ritenute indipendenti e irriducibili l’una all’altro.

In particolare l’anima era considerata come la razionalità, l’intelletto che, conoscendo le idee, intuiva la verità; viceversa il corpo rappresentava la sede dei sensi e delle passioni legate al piacere. Mente e corpo avevano quindi caratteristiche opposte: l’una, spirituale, induceva l’uomo a ricercare piaceri sublimi; l’altro, puramente materiale, lo spingeva verso il raggiungimento di piaceri sensibili e di basso livello. L'anima, immortale e esistita ancora prima del corpo al quale era stata incatenata, avrebbe dunque dovuto liberarsi dal corpo stesso, considerato la sua tomba. Tale netto dualismo portò a concepire l'uomo come un insieme di organi con funzioni differenti e distinte.

Nell'Ottocento l'attenzione comincia a rivolgersi più ai rapporti esistenti tra la mente e il corpo, piuttosto che alla loro opposizione. I molti studi sulla sensazione e sulla percezione che caratterizzarono quegli anni portarono a vedere l'uomo come un'“unità psicofisica” che si manifesta nel corpo fisico, nelle emozioni e nella psiche. Mente e corpo iniziano quindi ad essere considerati come due aspetti di uno stesso sistema di informazione. A partire dal XX secolo, l’evoluzione delle conoscenze medico-scientifiche di diversa provenienza, dimostranti la reciproca influenza tra la psiche e il corpo, governato dai sistemi endocrino, nervoso e immunitario, portano con sé la necessità di interrompere la contrapposizione tra la mente e il corpo, dando il via a un approccio integrato.

Differenti ricerche molto avanzate hanno dimostrato, in modo chiaro e inequivocabile, che le emozioni e lo stress modificano la nostra salute fisica, allo stesso modo in cui un corpo sofferente incide sull'umore. Diventa così possibile e necessario curare i sintomi fisici agendo anche sullo stato psicologico della persona e viceversa, andando alla ricerca di quella combinazione tra la terapia farmacologica e la psicoterapia più funzionale per quella specifica persona. Di seguito riporto alcuni esempi di “sintomi parlanti” che mostrano le differenti modalità attraverso cui la mente e il corpo dialogano tra di loro.

LA DEPRESSIONE

La depressione si manifesta con alcuni sintomi specifici quali la tristezza, l’apatia, l’assenza di prospettive e di progettualità per il futuro, la facilità al pianto, i pensieri di morte, il vissuto d’inutilità e il senso di fallimento personale. Essi danno espressione ad una forza interna che preme giù, verso il basso, che porta cioè a un livello inferiore, che umilia, che avvilisce e che non permette di svincolarsi.

La sola terapia farmacologica, sebbene funzionale alla riduzione dei sintomi e al miglioramento dell’umore del paziente, non permette di ascoltare e, quindi, di comprendere chi o che cosa dà voce a tale forza interna. Solo l'affiancamento di una psicoterapia potrebbe permettere al sofferente di allearsi ad essa, dopo averla conosciuta, rendendola così meno potente e permettendo alla coppia terapeuta-paziente di muovere i primi passi verso un cammino di risalita che, seppur impervio, è reso più tollerabile dalla presenza di un “alleato” specializzato nella cura con la parola. Usando una metafora, è un po' come “scalare una montagna non più da soli ma in cordata”.

I DISTURBI PSICOSOMATICI

Diversi sono i disturbi psicosomatici quali gastrite, colite, tachicardia, cefalea, dermatiti, sudorazione eccessiva, disturbi del sonno, che, nonostante si manifestino come disagi organici reali, non sembrano avere una causa medica dimostrabile, ciò anche e soprattutto alla luce degli esiti negativi degli esami clinici a cui ci si è sottoposti. Può essere allora che tali fenomeni si verifichino perché spostiamo un dolore dalla mente al corpo al fine di difenderci dell'eccessivo impatto che un'emozione troppo forte e paurosa potrebbe avere su di noi. Ad esempio una intensa sensazione di rabbia, di paura o di stress, trattenuta dentro di sé, potrebbe essere canalizzata sul corpo producendo un mal di testa ricorrente oppure una sudorazione eccessiva.

Non a caso l'intestino è indicato anche con il termine di “secondo cervello”, per la sua capacità di elaborare gli stimoli esterni e interni ricevuti dal corpo e di comunicare con il sistema nervoso centrale attraverso uno scambio di informazioni reciproco. L'influenza biunivoca di questi due cervelli e il modo in cui essa determina il nostro stato di benessere sia fisico, sia psicologico, si evince in modo evidente quando un forte pensiero negativo o stressante attiva in noi i circuiti dell'ansia e della paura provocando un aumento della motilità intestinale che può arrivare fino allo sviluppo della cosiddetta sindrome del colon irritabile. Viceversa uno stato di infiammazione intestinale (quale la ben nota dissenteria prima di un esame) può determinare una carenza di serotonina (un ormone del buonumore) a livello del sistema nervoso centrale e portare così all'insorgenza di uno stato depressivo.

LE DISFUNZIONI SESSUALI

Anche le disfunzioni sessuali, come i disturbi del desiderio e dell'eccitazione sessuale, dell'orgasmo e da dolore sessuale, oltre ad un disturbo fisico, possono sottendere un conflitto psicologico. Si possono manifestare in modo permanente, se presenti fin dall'inizio dell'attività sessuale, oppure nel corso delle diverse fasi della vita e, inoltre, possono essere generalizzate oppure presentarsi soltanto con determinati partner o in specifiche situazioni.

Diversi sono i fattori che, combinati tra di loro, possono essere all'origine della loro insorgenza: ad una condizione organica, affrontabile con una terapia farmacologica, la maggior parte delle volte si unisce una causa psicologica. Quest'ultima si tende spesso a negarla, a non prenderla in considerazione, forse per la vergogna che susciterebbe in ognuno di noi il doverne parlare con qualcuno. Così facendo però non si attribuisce valore a quei pensieri di diversa natura che interferiscono con la capacità di lasciarsi andare e di affidarsi all'altro. Ad esempio, si può avere la paura di andare incontro ad un insuccesso oppure il terrore di perdere il controllo della situazione, si possono avere degli eccessivi pensieri critici rispetto alle proprie prestazioni o delle difficoltà nel comunicare i propri desideri e bisogni poiché considerati come troppo trasgressivi.

Vi sono poi le proiezioni sul/sulla partner di vissuti che derivano dalle precedenti relazioni con i genitori. Si pensi a come l’immagine interna di un padre o di una madre molto critici potrebbe essere rivissuta su un/una partner che, in parte, la richiama, oppure a come la relazione con un genitore che è stato troppo fagocitante e intrusivo potrebbe accendere dentro di noi l’angoscia di rivivere qualcosa di eccessivamente soffocante nell'atto di fondersi e di perdersi nel corpo del/della compagno/compagna.

Questi sono tutti spunti di “dialoghi interni” che meriterebbero di trovare un confronto in un dialogo con uno psicoterapeuta che potrebbe permettere al sofferente di non viverli più esclusivamente come qualcosa di umiliante, ma come il punto di partenza per un viaggio alla volta della scoperta di quella parte di se stessi che porta con sé qualcosa del passato che si fa sentire ancora nel presente.

“MENS SANA IN CORPORE SANO”

Nell'intenzione del poeta latino Giovenale, autore del verso citato, l'uomo avrebbe dovuto aspirare soltanto alla salute dell'anima e del corpo e pregare gli dèi (che secondo lui sapevano di cosa l'uomo avesse bisogno più dell'uomo stesso) affinché gli concedessero l'una e l'altra. Sin dall'antichità, quindi, il benessere della mente e del corpo erano considerate due condizioni che andavano di pari passo.

La mente e il corpo, infatti, non sono due mondi separati, ma sono due parti di un unico mondo, che si influenzano reciprocamente, e all'interno del quale i confini tra queste due entità divengono così labili da perdere di significato e da rendere necessario che ci si prenda cura sia del sintomo con cui la malattia si manifesta a livello organico, sia del disagio con cui si palesa a livello psicologico.

Ognuno di noi possiede un contenuto emotivo che esprime attraverso il proprio linguaggio, che può essere più o meno ricco e articolato; quanto più la lingua di una persona è espressiva e tanto più la sua sofferenza psichica è mentale, tanto meno lo è, e tanto più il malessere è somatico. Considerata la difficoltà che spesso incontriamo nel comunicare una condizione di malessere, va da sé che il sintomo somatico diventa la via più diretta e immediata per esprimere la sofferenza. Non potendo dire: “sono triste, sono incerto su me stesso, non ho più fiducia nella vita”, poiché ci confronteremmo con sentimenti ancora troppo angoscianti per essere sentiti attraverso le parole, saremo portati ad affermare: “Ho mal di testa, ho un dolore continuo allo stomaco, non riesco a respirare”.

Da qui l'importanza di andare oltre ciò che si fa “vedere nel corpo” per entrare “nel vissuto della mente” e, quindi, in una relazione di cura, quale la psicoterapia, che, affiancata al farmaco, permetta di sentire quel sintomo che, a gran voce, sta dicendo: “solo se mi ascolti puoi comprendermi”, e di dare la parola al racconto di quella storia che ogni malattia, in ciascuno di noi, porta con sé.

A cura della dottoressa Donatella Rattini, Centro Clinico SPP Milano

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