Tagli e autolesionismo in adolescenza - Il cutting - Psicologa Milano
Siamo tutti vulcani in via di sviluppo, che avranno la loro ora di eruzione:
se questa sia vicina o lontana, francamente, non lo sa nessuno, nemmeno il “buon Dio”
(F. Nietzsche)
Il termine autolesionismo fa riferimento a una serie di comportamenti complessi ed eterogenei, messi in atto dagli adolescenti e dai giovani adulti per danneggiare se stessi, attraverso gesti autolesivi e autoinflitti al proprio corpo.
Si tratta, purtroppo, di un fenomeno attualmente molto diffuso, che registra un’incidenza, in queste fasce d’età, oscillante tra il 15-20% e che presenta un’età media di esordio che si aggira tra i 12 e i 14 anni di età. La sua diffusione, così epidemica in questi ultimi anni, è in parte legata alla divulgazione di una serie di immagini e di video di adolescenti autolesionisti sui social network, la cui conseguenza è un pericoloso e progressivo aumento dei casi di emulazione.
Quali sono i tipi di autolesionismo?
L’autolesionismo si può manifestare con differenti tipologie di comportamenti tra cui, i più comuni, sono:
- - i tagli, le incisioni e i graffi della pelle;
- - le bruciature con le sigarette;
- - le marchiature a fuoco della pelle con un laser o con un ferro rovente;
- - il pizzicarsi con violenza;
- - il colpirsi con oggetti;
- - le condotte a rischio come l’abuso di sostanze psicoattive, la sessualità promiscua e il gioco d’azzardo.
Rispetto, invece, al grado di danneggiamento dei tessuti e allo schema comportamentale agito, gli autori A. Favazza e R. Rosenthal suddividono le condotte autolesive nelle seguenti tre tipologie:
- - autolesionismo maggiore, caratterizzato da comportamenti infrequenti e isolati che provocano un danneggiamento dei tessuti grave e permanente;
- - autolesionismo stereotipico, caratterizzato da comportamenti ripetuti in modo costante e ritmico;
- - autolesionismo moderato/superficiale, caratterizzato da comportamenti episodici o ripetuti a bassa letalità che comportano un lieve danneggiamento dei tessuti corporei.
Che cos’è il cutting?
L’atto più comune con cui si presenta l’autolesionismo è il cutting, ossia il procurarsi dei tagli sulla pelle delle braccia o di altre parti del corpo, con degli oggetti appuntiti come coltelli, lame dei temperini, lamette, forbicine, punte di vetro, lattine usate, o quant’altro. In genere i tagli seguono delle linee particolari che sono studiate in modo tale da non procurarsi delle lesioni gravi che comporterebbero il successivo ricovero ospedaliero. Le cicatrici vengono poi nascoste agli occhi degli altri con braccialetti o indumenti molto coprenti, indossati anche d’estate quando il caldo porterebbe invece a scoprirsi.
Con il cutting gli adolescenti attaccano la propria pelle: quell’organo così importante del nostro corpo che è stata definita, a livello simbolico, dall’autrice Esther Bich, come il limite in cui ognuno di noi finisce sia concretamente che mentalmente e, quindi, come ciò che ci dà il senso di tenere insieme le diverse parti della nostra personalità. La pelle diventa così il depositario del senso di coesione del Sé.
Per comprendere il significato di questo concetto, possiamo paragonare la pelle a un sacchetto di ciliegie, che per essere portate a casa devono essere per forza contenute in un sacchetto. Il sacchetto rappresenta la nostra pelle, mentre le ciliegie sono le diverse parti in cui è suddivisa la nostra personalità. Sorge, quindi, spontanea la domanda: perché l’adolescente utilizza la sua pelle, dotata di questa funzione così primaria, come tela su cui incidere qualcosa? E ancora: che cosa l’adolescente sente il bisogno di incidere su questa tela così preziosa? Proviamo a dare delle risposte a queste domande.
Quali sono le cause dell’autolesionismo? Perché l’adolescente si taglia?
L’adolescenza è un momento cruciale dello sviluppo, determinante per il raggiungimento della propria autonomia e per la costruzione dell’identità individuale e sociale.
Sebbene vi sia oggi consenso riguardo il fatto che cambiamento e crescita siano caratteristiche intrinseche a tutto il ciclo dell’esistenza, nell’adolescenza diversi fattori, primi fra tutti la maturazione sessuale e cognitiva, innescano una vera e propria riorganizzazione del concetto di sé, provocando modificazioni e cambiamenti che passano attraverso processi di differenziazione, di esplorazione dei propri limiti e di ridefinizione delle relazioni sociali con adulti e coetanei.
Si tratta di compiti complessi che l’adolescente non sempre riesce a fronteggiare in modo adeguato e che spesso gli procurano un profondo disagio e un intenso senso di inadeguatezza. Sensazioni che lo portano a sentire il bisogno di sfuggire al confronto con la realtà della crescita.
Questa sofferenza che l’adolescenza porta con sé si origina da cause differenti, essendo ognuno di noi unico nella sua storia personale e familiare; per cui l’autolesionismo e il cutting vengono ad assumere il significato di strategia messa in atto con diverse funzionalità, tra cui:
- - esprimere, con un segnale potente, una forte sofferenza che le parole non riescono a dire;
- - provare un temporaneo sollievo dallo stress e una riduzione della tensione e dell’ansia: se ci si occupa solo del dolore fisico, ci si distoglie per un po’ da quello interiore;
- - sancire, a livello sociale, l’appartenenza al gruppo dei pari e definirne l’identità comune e quel senso di unione che non si è in grado di fondare su altre e più solide basi;
- - esibire sulla pelle i propri ideali, i patti d’amore e/o di amicizia e di fedeltà a una causa;
- - auto-punirsi e, conseguentemente, purificarsi, liberandosi così da un passato traumatico;
- - creare delle ferite e delle cicatrici che rappresentino dei ricordi indelebili, una memoria di sé, e che permettano all’adolescente di fissare degli eventi emotivi della sua storia personale sulla sua pelle, affinché non li dimentichi e possa ritrovarli in futuro;
- - affermare la propria libertà e la propria autonomia, trasformando l’esperienza di passività tipica dell’adolescenza, nella trasgressione insita in questi comportamenti socialmente non accettati;
- - ribellarsi all’insensibilità che si sente di vivere nei rapporti interumani, mostrando fisicamente agli altri la propria sofferenza interiore;
- - attaccare il nuovo corpo che la pubertà porta con sé e che può fare emergere un senso di disgusto e il desiderio di maltrattarlo;
- - sentire di possedere il proprio corpo, esercitando su di esso una forma di controllo;
- - sperimentare sensazioni nuove e sfuggire, così, a una noia che appare essere devastante.
Autolesionismo e tentato suicidio
Il suicidio spesso non è il fine dell’autolesionismo, ma il rapporto tra suicidio e autolesionismo è molto complesso sia perché, a volte, un comportamento autolesionista può essere pericoloso per la vita del soggetto, sia perché gli studi effettuati su questi temi hanno sottolineato che le condotte autolesive possono costituire dei fattori di rischio significativi per il suicidio. Questo perché, nel tempo, il ripetersi delle condotte autolesionistiche può desensibilizzare il corpo dal dolore fisico e aumentare la capacità di attaccarlo fino ad arrivare al suicidio.
Risulta, quindi, fondamentale indagare sempre la presenza di un’eventuale ideazione suicidaria e ciò anche se, come già detto, la distruzione e l’alterazione dei tessuti corporei, in genere, sono agite senza l’intenzione cosciente di suicidio.
Quest’ultima condizione trova riscontro nell’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5 (APA, 2013), in cui l’autolesionismo non suicidario è stato inserito come categoria diagnostica a sé stante, dando come criterio di diagnosi il fatto che la persona, nell’ultimo anno, si sia inflitta intenzionalmente dei danni sul corpo. In esso ritroviamo i seguenti due disturbi, annoverati nella categoria dei disturbi diagnosticati generalmente per la prima volta nell’infanzia, fanciullezza e adolescenza:
- - Autolesionismo non suicidario - NSSI: not suicidal self injury;
- - Autolesionismo non suicidario non altrimenti specificato - NSSI-NAS.
Quali sono le cure dell’autolesionismo? Come si fa a uscire dall’autolesionismo?
Per affrontare il tema della cura dell’autolesionismo in adolescenza occorre tenere presente, come ci ha insegnato Winnicott (1970), che gli adolescenti sono difficili, in quanto (a differenza dei bambini) hanno “a loro disposizione tecniche proprie degli adulti” e hanno “una fiera intolleranza per le false soluzioni”. Appare quindi appropriato accostarsi all’adolescente problematico con un atteggiamento improntato sia alla comprensione, sia alla capacità di porre limiti, sapendo trovare, negli elementi di realtà esterni, uno spazio di condivisione e di possibile alleanza terapeutica.
Per indirizzare la cura è necessario valutare, in modo specifico, quale funzione rappresenta l’uso del linguaggio dell’autolesionismo e del cutting nella mente dell’adolescente, ponendolo, al tempo stesso, in stretta correlazione con la fase di sviluppo psichico che sta attraversando, con il contesto familiare in cui è inserito e con la specifica cultura in cui è immerso. Informazioni importanti, sia per un genitore, sia per un clinico, potrebbero essere fornite:
- - dalla frequenza e dall’entità dei tagli e/o di eventuali altri comportamenti di autolesionismo;
- - dalla qualità dell’andamento scolastico;
- - dalla tendenza al ritiro sociale;
- - dalla qualità della vita di relazione, in particolar modo dalla presenza di sentimenti di inadeguatezza, inferiorità, autosvalutazione, sospettosità e irritabilità.
Inoltre, sempre per una corretta valutazione della cura, bisogna tenere presente che sotto la stessa manifestazione si possono celare strutture psicologiche molto differenti in quanto si tratta di una sintomatologia trasversale a diverse aree di disagio. Può essere associata a: disturbi dell’umore e/o disturbi d’ansia, depressione, abuso di sostanze, disturbo della condotta, disturbo oppositivo- provocatorio, disturbi del comportamento alimentare, disturbi dissociativi e disturbi della personalità.
Il trattamento più efficace nella cura di questo disturbo è la psicoterapia con la quale si cerca di comprendere la logica inconscia che è sottesa ad ogni singolo caso di autolesionismo, di aiutare l’adolescente a imparare a riconoscere il suo stato mentale e quello degli altri e a dare un nome alle emozioni provate, trasformando così le sue ferite in parole. Quest’ultima è un’acquisizione fondamentale per ognuno di noi perché ciò che non è trattato nel simbolico, ritorna sempre nel reale.
All’interno del setting solido e costante offerto della psicoterapia, l’adolescente può sentirsi contenuto e trovare in esso quel limite, quella pelle simbolica, che non riesce ancora a trovare autonomamente in se stesso. All’intervento psicoterapeutico, nei casi più gravi, può essere necessario affiancare una terapia farmacologica con lo scopo di ridurre la compulsione a ferirsi o a farsi del male e di contenere alcuni vissuti che possono perpetuarla.
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Dr.ssa Donatella Rattini - Centro Clinico SPP Milano dell’età adulta