Separazione (dal partner) e perdita dell'oggetto
Più volte sono state sottolineate le analogie che, dal punto di vista psicologico, intercorrono tra un soggetto alle prese con una separazione da un partner sentimentale e chi si ritrova ad affrontare un lutto, cioè la perdita di una figura affettivamente significativa.
Credo che la questione possa essere ulteriormente approfondita, diversificandone alcuni aspetti a scopo orientativo.
Le separazioni cosiddette consensuali lo sono perlopiù solo in termini ideali, risulta cioè piuttosto infrequente che entrambi i soggetti coinvolti contribuiscano a tale esito in maniera perfettamente reciproca e paritaria, anche se può risultare presumibile che talvolta un certo grado di equilibrio rispetto alla volontà di attuare un distacco definitivo sia anche possibile.
Nella maggior parte dei casi però le separazioni vedono spesso da una parte un primo soggetto che si assume la responsabilità concreta di questa decisione, agendo maggiormente tale motivazione; dall'altra un secondo soggetto che prevalentemente si ritrova a subirla.
Siamo in questo caso di fronte a tre situazioni psicologiche differenti (decisione consensuale, decisione agita, decisione subita), ognuna con le proprie specificità.
L'analogia col processo di elaborazione del lutto, cioè della perdita e del distacco da quello che in psicoanalisi si definisce l'oggetto amato (processo originariamente descritto da Freud e in linea generale ampiamente riconosciuto anche in settori meno propriamente psicanalitici, sia pur in seguito riformulato in maniera diversificata e specifica ai vari ambiti) sembrerebbe applicabile, con tutta una serie di adattamenti, alla situazione di chi subisce dal partner la decisione di interrompere la relazione (cioè alla terza situazione menzionata).
In pratica chi si ritrova a dover prendere atto di una decisione a cui non ha compartecipato e che lo mette di fronte alla novità della separazione, si ritroverebbe ad attraversare una situazione emotiva e cognitiva molto simile a quella di chi subisce il lutto di una persona cara.
Tuttavia mi sembra importante sottolineare alcune differenze specifiche delle due condizioni.
Nel lutto il soggetto deve confrontarsi con la perdita concreta, materiale e conclusiva dell'oggetto amato. Il lutto è riferito specificamente alla scomparsa definitiva e, diciamo così, insindacabile dell'oggetto.
Nella separazione l'oggetto (quindi l'altra persona da cui ci si deve separare) in realtà continua ad esistere, anche nelle situazioni in cui la separazione si attua attraverso una presa di distanza fisica (non ci si frequenta più) o addirittura "geografica" (ci si ritrova ad andare a vivere in paesi distanti, riducendo così notevolmente la possibilità di potersi nuovamente incontrare).
Così il soggetto "abbandonato" è a conoscenza del fatto che l'oggetto "abbandonante" (chiamiamoli per comodità in questo modo) continua ad esistere e a vivere una quotidianità, cioè a fare delle cose senza l'altro (cioè senza di lui.)
Fare i conti con questa realtà mostra specifiche differenze rispetto al caso in cui si ha a che fare con una perdita reale e definitiva dell'oggetto, come appunto nel caso del lutto. Può essere meno doloroso e traumatico, sicuramente ha risvolti meno drastici e perentori, ma risulta più incerto e ambiguo, può addirittura risultare più difficile e lungo, perché il soggetto che accede alla consapevolezza di un cambiamento così poco facilmente accettabile come una separazione, si ritrova tuttavia in una condizione che, a differenza del lutto, non gli preclude categoricamente la possibilità di alimentare dentro di sé la speranza che invece tutto possa anche tornare come prima (che il partner possa cambiare idea, che possa succedere qualcosa che inverta la rotta). Un tipo di speranza che appunto la condizione del lutto reale invece non concede, non rende possibile (se non alla condizione di sviluppare un delirio che neghi la realtà).
Quindi si potrebbe riassumere che chi subisce la separazione deve riuscire ad accettare non la perdita dell'oggetto in quanto tale, ma solo la relazione con quello. Differenza questa non trascurabile perché abbiamo visto che se la perdita dell'oggetto rende tutto il processo del lutto profondamente doloroso ma anche comprensibilmente immodificabile, la conclusione di una relazione può, in via ipotetica (e talvolta anche reale) rientrare: l'oggetto perduto non ritorna, la relazione conclusa con un oggetto che continua ad esistere può sempre essere ripristinata.
La questione si complica ulteriormente quando, in determinate condizioni, il soggetto "abbandonato" si viene a ritrovare in qualche modo obbligato a constatare direttamente (non solo ad essere indirettamente consapevole) che il suo oggetto "abbandonante" sopravvive alla conclusione della loro relazione, cioè quando si ritrovi, per determinati motivi, costretto ad incontrare ancora l'altro, magari anche con una certa regolarità.
Uno di questi è il caso dei genitori separati, che per ovvi motivi hanno l'obbligo e la necessità in certi momenti di interagire tra loro a favore dei figli.
Il processo di accettazione della separazione da parte del soggetto viene solitamente facilitato da un distacco fisico dall'oggetto, non vedersi aiuta a disinvestire dalla relazione conclusa e facilita l'approccio a nuove relazioni (sociali oltre che sentimentali), accompagnando il processo di separazione allo stato di separatezza e di emancipazione dalla dipendenza.
Al contrario la condizione di genitore separato obbliga il soggetto a rinnovare i contatti con l'ex partner e in alcuni casi a fomentare speranze che rallentano il processo di distacco psicologico.
Una chiara e solida consapevolezza di dover affrontare questa fatica a favore di un rapporto d'amore da alimentare e rinforzare (cioè quello con i figli) può essere d'aiuto nel superamento di questa ulteriore difficoltà. Tuttavia non è affatto raro che accada invece l'esatto opposto, e cioè che la relazione coi figli venga utilizzata (più o meno inconsciamente) in maniera strumentale e manipolatoria al fine di riaccedere al rapporto con l'ex partner o, nelle fasi successive alla prima elaborazione (in cui sono la rabbia e il senso di ingiustizia subita a prendere la scena) addirittura con modalità risarcitorie e vendicative.
C'è ancora un aspetto da considerare. In tutto questo scenario nulla è stato detto sul comportamento dell'oggetto "abbandonante", ed è stato dato un po' per scontato che questi sia in grado di muoversi nei confronti dell'altro con un atteggiamento coerente, corretto, affettivamente presente con i figli, in maniera priva di ogni ambiguità verso l'ex partner, senza manifestare ripensamenti né rivendicazioni, che andrebbero a complicare (se non addirittura ad invalidare) il processo di disinvestimento dalla relazione stessa (nell'altro soggetto ma anche in generale).
Ammettendo in via ipotetica che le modalità messe in gioco da chi decide di fare il primo passo verso la separazione dal partner risultino così ideali e corrette, permangono tutte le complesse condizioni già descritte.
Di fatto anche chi si assume la responsabilità della scelta di separarsi non è immune da tutta una serie di condizioni che possono interferire col suo modo di porsi e che possono ulteriormente appesantire lo scenario, andando ad arricchire il numero di variabili interferenti in gioco (condizioni che, in altra occasione, potrebbe essere interessante approfondire ulteriormente).
Come si può dedurre il quadro è soggetto ad una serie di complicazioni considerevoli, a partire dalle singole situazioni, dalle circostanze e dalle peculiarità caratteriali e personologiche degli individui coinvolti.
In determinate condizioni poter fare affidamento al parere di un terzo esterno, meglio se dotato di strumenti validi e consolidati per facilitare un'analisi specifica della situazione e fornire un aiuto nel complicato e sempre doloroso processo di distacco, può risultare utile e significativo.
Centro Clinico SPP dell'Adulto
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