“VECCHIE” E “NUOVE” DIPENDENZE PATOLOGICHE: UNA PROSPETTIVA PSICOANALITICA
La dipendenza da sostanze e/o alcol o da comportamenti (come il gioco d’azzardo) rappresentano un universo variegato, che si dispiega in un quadro multiforme di espressioni psichiche, somatiche e sociali.
Ognuna di queste forme di dipendenza patologica si manifesta con quadri sintomatologici suoi propri, ma condivide con tutte le altre i meccanismi che la caratterizzano.
Le patologie da uso di alcol, da sostanze psicoattive e da gioco d’azzardo, sono fenomeni da sempre presenti nel tessuto di ogni gruppo sociale e di questa presenza possiamo trovare testimonianze fin dai tempi remoti nelle produzioni letterarie e religiose di varie civiltà. L’ottica secondo la quale questi fenomeni sono stati storicamente osservati è stata prevalentemente quella morale o religiosa, secondo la quale tendevano a essere considerati l’espressione di comportamenti aberranti o estremi (veniva spesso usato il termine popolare di ‘vizi’), fino ai confini del demoniaco o del sacro, ma pur sempre sotto il controllo volontario. L’atteggiamento sociale ha quindi sempre oscillato tra la condanna moralistica e la tolleranza.
La comparsa massiccia delle dipendenze da oppiacei (eroina, morfina, etc.) e da sostanze psicoattive di sintesi (le cosiddette ‘droghe sintetiche’), nonché da cocaina, che si è gradualmente verificata nel mondo occidentale a partire dagli anni seguenti alla seconda guerra mondiale, ha obbligato a prendere coscienza del problema che si andava creando e ha indotto a cercare soluzioni per un tragico fenomeno che all’inizio creava stupore, sconcerto e intense reazioni emotive, ma che, successivamente, ha cominciato ad apparire come un aspetto patologico da inquadrare e affrontare.
Psicoanalisi e dipendenze patologiche
Secondo la prospettiva psicoanalitica, per la persona malata di dipendenza non è tanto importante considerare da quale sostanza e/o comportamento egli dipenda, quanto quale sia la modalità di mettersi in relazione con essa. Naturalmente non vanno neanche sottovalutate le differenze esistenti rispetto al tipo di dipendenza, perché ciò avrà una ricaduta sul di tipo di trattamento adottato e sulle diverse fasi in cui si articolerà. Cosi si esprime lo psicoanalista Bignamini (2003): “Non è la sostanza o il comportamento a definire la patologia da dipendenza, ma la relazione tra il soggetto e l’oggetto da cui si dipende, la particolare modalità di quella relazione”.
Secondo Zucca Alessandrelli (2002): “Il termine inglese ‘addiction’ (che poi deriva dal termine latino ‘addictus’, che significa schiavo per debito), ci fa pensare allo stato psicologico di schiavitù, ancora prima che a quello fisico. La vittima, non solo subisce un impulso superiore alle sue forze di controllo, ma è costretta a collaborare con la prepotenza di questo impulso. Il termine addiction comprende sia la dipendenza coatta da varie sostanze (l’alcol, le droghe, i farmaci, etc.), sia quella da comportamenti, come il gioco d’azzardo patologico, sia i cosiddetti ‘disturbi alimentari’, quali la bulimia e l’anoressia, sia altri aspetti di dipendenza come la cleptomania, la compulsione agli acquisti, al sesso, etc.”.
Personalmente ritengo, in accordo con le teorie psicoanalitiche più recenti, che la persona affetta da dipendenza patologica, abbia bisogno di “aggiungere qualcosa” per “sentire di esserci” o debba, paradossalmente e tragicamente, sostituire la relazione interpersonale con una sostanza o un comportamento. Ovvero, l’addiction, di cui questo soggetto ha bisogno, gli serve per mettersi in contatto con la realtà, o per staccarsene.
Le cause delle dipendenze patologiche
Le ricerche degli psicoanalisti inglesi Fonagy e Target (1991) hanno consentito una ulteriore spiegazione dei fenomeni di dipendenza patologica da un punto di vista evolutivo: i loro studi hanno dimostrato che se i bambini non trovano una risposta adeguata ai loro bisogni affettivi di attaccamento nei genitori e/o in chi si prende cura di loro, per una qualsiasi condizione traumatica, svilupperanno una funzione riflessiva deficitaria.
La funzione riflessiva è quella che permette di riconoscere e comprendere le proprie e le altrui emozioni, i propri e gli altrui stati mentali: ciò spiega perché spesso le persone con problemi di addiction, agiscono e reagiscono in maniera impulsiva, senza pensare e senza valutare adeguatamente i comportamenti propri e degli altri, le conseguenze delle loro azioni e fanno fatica a capire e a seguire le regole e le convenzioni sociali, etc..
L’’addict’ è, quindi, generalmente una persona con una ‘strumentazione psichica’, che non è in grado di proteggerlo da situazioni eccitanti e/o da emozioni intense: egli è, infatti, caratterizzato da una difficoltà particolare nelle relazioni personali a causa della scarsa autostima (a volte mascherata da apparente grandiosità), dall’ipersensibilità e quindi si trova, suo malgrado, nell’impossibilità di prendersi cura di se stesso e di governare adeguatamente gli affetti.
In altre parole, il dipendente patologico cerca, consciamente o inconsciamente, di sopperire a un malessere psicologico, a un bisogno affettivo o a uno stato di disagio psichico attraverso l’assunzione di sostanze e/o alcol oppure ricorrendo a comportamenti, che possono creare stati di eccitamento e/o gratificazioni esterne estemporanee, come il gioco d’azzardo. Il problema è che il rimedio utilizzato è peggiore del male che si cerca di affrontare perché, a parte un apparente sollievo momentaneo, non risolve il problema psicologico che ne é alla base, anzi lo aggrava. Senza contare gli effetti negativi ed autodistruttivi che può provocare a livello fisico, di salute mentale, economico, familiare, sociale, lavorativo, etc.
Conclusioni
La volontà di affrontare la dipendenza patologica e la motivazione soggettiva alla cura della persona che ne è affetta, pur rappresentando una pre – condizione necessaria, non bastano da sole a risolvere definitivamente il problema. E’ necessario che, attraverso una psicoterapia psicoanalitica con un professionista, l’addict riesca a comprendere il senso e il significato del suo malessere, in modo che possa successivamente essere aiutato a identificare gli strumenti psichici per affrontarlo in maniera per lui più utile e costruttiva, rispetto alle modalità distruttive della dipendenza patologica. Solo in questo modo riuscirà stabilmente e strutturalmente a evitare di ricorrere a comportamenti di addiction. Per dirla con Neri (2005): “La capacità di accogliere, nominare, dare senso agli stati d’animo e ai sentimenti è una proprietà essenziale del lavoro di psicoterapia”.
Si potrà obiettare che, così facendo, il soggetto addict semplicemente sostituisce alla dipendenza patologica, la dipendenza nei confronti del proprio psicoterapeuta. Ma la differenza sostanziale è che, mentre l’addiction distrugge la persona e la rende schiava, la dipendenza temporanea dal terapeuta, le permette di acquisire gradualmente gli strumenti per accedere a una vita autonoma, cosa che si raggiungerà stabilmente al termine della psicoterapia psicoanalitica. Ciò è possibile perché il paziente affetto da addiction interiorizza, come diciamo noi psicoanalisti, cioè fa sue, le rende parte del proprio apparato psichico, le modalità relazionali e affettive che sperimenta nella relazione terapeutica.
E’ chiaro, come già evidenziato nella sezione aree di intervento del nostro sito, che in alcuni casi prima di accedere alla psicoterapia psicoanalitica individuale, con le caratteristiche sopra descritte, può essere necessario un intervento preliminare di sostegno psicologico di tipo psicoanalitico, che permetta al paziente di incrementare la motivazione soggettiva alla cura e di trovare un migliore adattamento alla realtà esterna, possibilmente evitando condotte tossicomaniche e/o comportamenti di addiction. In questa fase non è da escludere la possibilità di concordare con il diretto interessato l’invio a Centri Specialistici, esterni al Centro Clinico SPP.
Dott. Davide Fiocchi - Centro Clinico SPP dell'Adulto
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